Nomi femminili la sinistra vince ma la Lega fa tutto da sola
Avvocata”, “sindaca”, “assessora” si potranno dire. La proposta di legge del senatore della Lega Manfredi Potenti, che chiedeva di vietare l’uso nomi femminili negli atti pubblici – con multe fino a 5.000 euro per chi non si adegua – ha suscitato talmente tante polemiche da far posizionare il partito per un ritiro della stessa proposta. Il dibattito che è scaturito dal disegno di Potenti ha smosso tutte le fazioni in parlamento, ma anche alcune frange interne alla Lega, tanto che il Carroccio ha dovuto scaricare il senatore facendo anche sapere che l’iniziativa “è personale” e “non rispecchia la posizione ufficiale del partito”, che, appunto, ne ha chiesto il ritiro immediato.
L’obiettivo dichiarato nella premessa della proposta di legge sui nomi femminili era quello di “preservare l’integrità della lingua italiana, e in particolare evitare l’impropria modificazione dei titoli pubblici, come ‘Sindaco’, ‘Prefetto’, ‘Questore’, ‘Avvocata’ dai tentativi ‘simbolici’ di adattarne la loro definizione alle diverse sensibilità del tempo”. E se si distacca la Lega, da sinistra non sono rimasti in silenzio. Tra i critici, Laura Boldrini che ha parlato“di ignoranza e misoginia” e anche la dem Valeria Valente ha etichettato la proposta come “l’intento di cancellare le donne dalla vita pubblica e di promuovere un modello patriarcale”. Anche da Avs, Aurora Floridia ha sottolineato la natura “retrograda e discriminatoria” della proposta e ha ribadito l’importanza della parità di genere nelle politiche pubbliche. Una partita che sembra “vinta” dalle opposizioni, anche se la realtà è un’altra, perché la Lega ha fatto tutto da sola
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