Politica

Noi centristi figli di marini

di Redazione -


di GIORGIO MERLO
I grandi leader e statisti non lasciano quasi mai eredità personali. Ma è altrettanto indubbio che trasmettono una eredità politica e culturale. Soprattutto quando quella tradizione politica continua ad essere moderna. È il caso, nello specifico, di Franco Marini, storico leader sindacale e, soprattutto, leader di quella sinistra sociale di ispirazione cristiana che ha caratterizzato larga parte della politica italiana. Nella lunga esperienza della Democrazia Cristiana e in alcuni partiti che sono poi succeduti alla DC. Marini ci lasciava tre anni orsono ma la sua eredità politica, culturale e soprattutto sociale non può essere banalmente archiviata. Per la semplice ragione che si tratta di una cultura politica, quella del cattolicesimo sociale, che era e resta di straordinaria attualità anche nella società contemporanea. Dominata da una inedita “questione sociale” e attraversata da una crisi esponenziale del ceto medio e dei ceti popolari. Una esperienza, quella di Marini, che è stata caratterizzata da alcuni elementi di fondo che proprio oggi i cattolici popolari e sociali non possono non fare propri.
Innanzitutto la fedeltà creativa alla cultura, alla tradizione e al pensiero del cattolicesimo sociale.
Principi e valori che sono stati letti ed interpretati da Marini nella concreta lotta sindacale prima e politica poi. Partendo sempre dalle condizioni reali delle persone, dalle loro sofferenze ed aspettative. In secondo luogo la difesa e la promozione dei ceti popolari. Marini, come del resto il “suo maestro politico Carlo Donat-Cattin, ha sempre individuato nella difesa degli interessi, delle esigenze e delle istanze dei ceti popolari la sua vera “mission” politica, culturale ed umana. Non è mai esistita una alternativa, secondo il leader della sinistra sociale cattolica, rispetto alla difesa dei ceti popolari per chi è impegnato concretamente nella vita pubblica in virtù della sua ispirazione
cristiana e della adesione alla dottrina sociale della Chiesa. Infine, la funzione e il ruolo del partito come “strumento democratico capace di trasformare i ceti popolari da classe subalterna a ceto dirigente del nostro paese” e, al contempo, marcare una presenza politica e culturale definita all’interno stesso dei partiti. Nella Dc come nei partiti cosiddetti “plurali” della seconda repubblica, Marini non ha mai rinunciato ad esaltare questi due caposaldi costitutivi della sua lunga esperienza politica. Per questi motivi Marini era un interlocutore politico vero. Perchè tutti sapevano che rappresentava un pezzo della società
italiana e di quel pezzo di società si faceva carico nella politica e nelle istituzioni. Ecco perchè, come ricordavo all’inizio, non esiste una eredità personale di Franco Marini. Come diceva Donat-Cattin, “il carisma in politica o c’è o non c’è. È inutile darselo per decreto”. Una
eredità, però, che obbliga ed invita chi continua a riconoscersi nella tradizione e nel pensiero del
cattolicesimo sociale a proseguire attivamente quel cammino. Ben sapendo, come diceva sempre Marini, che il “pensiero e l’azione non sono mai slegati”.
E cioè, si è credibili ed interlocutori nella politica come nel sindacato se si è portatori di una precisa cultura politica e sempre disponibili al dialogo e al confronto con gli altri, amici ed avversari, per portare a casa risultati per i ceti popolari e le classi lavoratrici. Senza limitarsi a contemplare l’esistente o a descriverlo in modo astratto ed accademico.


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