Attualità

No al corteo del Blocco Studentesco. Sicurezza o censura?

di Eleonora Ciaffoloni -


Il rischio di “tensioni” è troppo alto, il corteo non si fa: è con questa motivazione che la Questura di Milano ha notificato il divieto al corteo previsto per il 30 novembre, organizzato dal Blocco Studentesco. Le possibili reazioni antifasciste potrebbero compromettere la manifestazione, quindi le istituzioni milanesi hanno deciso di non correre il rischio. Ebbene, nei documenti ufficiali la Questura ha indicato che il corteo avrebbe potuto “infiammare un clima di contrapposizione politica già acceso”, anche – ma soprattutto – in vista del corteo antagonista in programma il prossimo 7 dicembre per le celebrazioni dell’80° anniversario dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani). Tuttavia, secondo i rappresentanti del Blocco Studentesco, organizzatore del corteo di fine mese, il vero nodo sembra essere la volontà di evitare tensioni con gruppi antifascisti, che in queste modalità verrebbero così indirettamente legittimati come attori destabilizzanti. “Non siamo noi a creare disordini – dichiarano gli organizzatori – ma quegli stessi gruppi antifascisti che il sistema continua a tollerare e proteggere. Siamo di fronte a un cortocircuito politico, dove si preferisce negare il diritto di manifestare pur di non affrontare il problema alla radice”. Anche perché il Blocco aveva garantito alle autorità un corteo pacifico e concentrato su rivendicazioni di grande attualità: una scuola più inclusiva e sociale, che rifiuti la logica aziendalista; il problema caro vita che pesa sugli studenti, in particolare nelle città più costose d’Europa come Milano; e la denuncia di un sistema scolastico sempre più disumano e privatizzato. Tematiche che, a quanto pare, sono state bollate come provocatorie, forse per il colore politico. “È inaccettabile che ci si trovi di fronte a una discriminazione ideologica che nega la pluralità del dibattito politico”. La decisione della Questura, difatti, non smorza il dibattito politico, anzi, lo alimenta e pone dubbi legittimi sul diritto della libertà di espressione che, in questo caso, non sembra essere rispettato, mentre viene camuffato da ragioni di sicurezza.


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