Cultura & Spettacolo

Nelle tele di Vezio Moriconi, la mente del genio a spasso nel labirinto di Minosse

di Redazione -


di VERONICA BENEDETTA MARINO
Ciò che anima le tele di Vezio Moriconi è un irrefrenabile bisogno di esprimersi, indipendentemente dalle modalità. Anche se dopo svariati esperimenti, le braccia che lo hanno accolto sono state quelle della pittura e del disegno. È proprio l’immediatezza della tela ad averlo spinto verso questa forma d’arte. Un modo di farcire il quadro che è prettamente grafico. Le sue intenzioni sono quelle di riappropriarsi definitivamente dell’uso della china, adoperando solamente due colori, il bianco ed il nero. Addirittura, potremmo parlare esclusivamente del nero se si considera il fatto che il bianco, alla fine, è il foglio, montato su tela. La scelta di questa tecnica lo ha costretto a rinunciare anche al rosso, colore che imperava nei suoi vecchi quadri; è un gioco a cui partecipano due colori, dove la prospettiva viene creata attraverso la profondità dell’oggetto ma senza ombreggiature. L’insieme deve assumere un profilo che si mostri il più lineare possibile. Asserisce lo stesso Vezio: “Ciò che faccio serve soprattutto a me. Se non dipingo divento isterico; quando una cosa funziona significa che sono stato onesto. È ciò che affermava anche Hemingway a proposito della scrittura. Spesso sentiamo parlare della generosità di noi artisti perché, in qualche modo, ci diamo; credo che, in realtà, se andiamo a scavare più a fondo nell’ animo del creativo, ciò di cui necessita veramente, sia un estremo bisogno di riconoscimento. Esiste una sorta di egocentrismo che, alle volte, ti costringe anche a genufletterti di fronte a piccoli compromessi ma questi non devono e non possono mai riguardare la poetica che sottende l’opera d’arte; diversamente verrebbe meno quella probitá di cui parlavo prima e che per me è essenziale. Puoi raccogliere consigli sulla tecnica ma per il resto devi fermarti, altrimenti andresti a scendere a patti con te stesso rischiando di inficiare il tuo stesso modus operandi”. L’intento dell’artista è quello di astrarre e scarnificare al massimo le forme; Anche perché le sue tematiche sono influenzate dalla complessità della società moderna e l’urgenza di scomporla, nella sua poetica, è imprescindibile. Ovviamente il tutto accade spalmando sul foglio il suo personale modo di filtrare questi fatti di attualità. Il suo metodo di disfare le geometrie è quello di gettare i soggetti in maniera casuale nel disegno, per questo parla di flusso. Nelle sue ultime raffigurazioni, individuiamo, non la solita prospettiva classica, ma tante piccole prospettive che non rispondono ai canoni convenzionali; ci sono sequenze diverse, come illustrazioni che si sovrappongono; l’immagine grande spesso appare sullo sfondo mentre la piccola sembra quasi affacciarsi al di fuori dell’opera. La scintilla che lo anima debutta inizialmente nebulosa per poi farsi più comprensibile, ai suoi stessi occhi, alla fine della concretizzazione dell’idea. Si crea qui un’inversione di ruoli tra due soggetti che si animano reciprocamente; è come se l’opera d’arte desse vita, in questo caso, al pittore e non viceversa. Il nostro artista non spiega mai i suoi quadri all’osservatore. Lo fa soltanto a posteriori e solo nel caso in cui gli venga richiesto. A suo avviso, chi ha necessità di spiegare le proprie creature, assalendo chi le osserva, è sostanzialmente attraversato da un senso di paura e di insicurezza. Questo nasce dal terrore di non essere capiti, che poi è l’obbiettivo principale di ogni artista. Tacere, al contrario, è una bella sfida che l’artefice dell’opera può lanciare a sé stesso, per capire se gli altri lo vedono e si rivedono nelle sue tele.


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