L’ex ministro alla Difesa sudcoreano ha tentato il suicidio in carcere
Il ministro della Difesa sudcoreano Kim Yong-hyun ha tentato il suicidio in carcere. Si era dimesso giovedì, il giorno dopo l’abrogazione della legge marziale che per qualche ora, nella notte tra il 3 e il 4 dicembre, era stata imposta dal governo di Seul su pressione del presidente Yoon Suk Yeol. Un tentativo che era immediatamente naufragato di fronte alle pressioni dei parlamentari e, soprattutto, dell’alleato americano che non aveva visto di buon occhio l’iniziativa del presidente. Kim Yong-hyun era stato arrestato domenica con l’accusa di aver commesso “un abuso di potere per ostacolare l’esercizio dei diritti” svolgendo “un ruolo cruciale” durante la “ribellione” contro la Costituzione orchestrata dal presidente Yoon Suk Yeol. Aveva ammesso ogni responsabilità, l’ex ministro alla Difesa scusandosi “profondamente” per l’accaduto. Tra le accuse, inoltre, ce n’era stata un’altra che, se possibile, era ancora più grave. Ossia quella di aver spedito droni al confine con la Corea del Nord per tentare la creazione di un casus belli con Pyongyang da sfruttare, politicamente, sullo scenario interno. La conferma del tentato suicidio da parte dell’ex ministro è giunto da un funzionario della sicurezza carceraria.
Intanto la polizia sudcoreana ha svolto ieri una perquisizione all’interno dell’ufficio presidenziale. Come si legge in una nota, una squadra investigativa speciale ha condotto una perquisizione presso l’ufficio presidenziale, l’Agenzia nazionale di polizia, l’Agenzia di polizia metropolitana di Seoul e l’unità di sicurezza dell’Assemblea nazionale. L’obiettivo degli inquirenti è fare piena chiarezza attorno ai fatti e comprendere se ci fu complotto ed eventualmente raggiungere ogni “partecipante” al golpe bianco che si stava consumando nella Corea del Sud.
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