Migranti, oggi il CdM “salva centri” in Albania
La vicenda dei centri per il rimpatrio dei migranti in Albania “bocciati” dal Tribunale di Roma si è avviata, in seno alla maggioranza di governo, su un doppio binario: quello della prossima azione normativa e quello della risposta agli attacchi che stanno insidiando per intero l’iniziativa nel Paese oltre l’Adriatico. Oggi, previsto un decreto in un Consiglio dei ministri che dovrà trovare la quadra sulla questione giuridica rilevata dai giudici della Capitale, per diventare operativo fin da martedì mettendo a tacere la grancassa delle polemiche che l’opposizione sta sollevando da venerdì con rinnovato vigore.
Sarà – trapela da Palazzo Chigi – il veicolo normativo sul quale “camminerà” la “soluzione” anticipata dalla premier Giorgia Meloni. Un decreto per far diventare norma primaria l’indicazione dei Paesi sicuri e ribaltare in tal modo la precedente norma, innestata come secondaria nel decreto del ministro degli Esteri a suo tempo emanato di concerto con quelli di Interno e Giustizia, fin qui servito per aggiornare annualmente l’elenco dei Paesi sicuri. Ciò che i giudici romani hanno definito in contrasto con la vigente normativa europea, definendo il provvedimento che non ha convalidato il trattenimento dei dodici migranti che erano arrivati in Albania e poi sabato sono arrivati a Bari: sette cittadini bengalesi e cinque egiziani che sono stati trasferiti nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo del capoluogo pugliese.
Sul versante della risposta alla polemica dell’opposizione, nella prima linea della maggioranza Matteo Salvini, che ha nuovamente chiamato il popolo della Lega a gazebo previsti per il 14 e 15 dicembre per rispondere a quello che viene definito “l’attacco all’Italia e agli italiani sferrato da una parte di magistratura politicizzata”.
Nel fine settimana, tra i principali bersagli dell’opposizione il ministro della Giustizia Carlo Nordio che ha risposto con parole molto nette: “La nostra reazione non è stata contro la magistratura ma contro il merito di una sentenza che non condividiamo e riteniamo addirittura abnorme. Non può essere la magistratura a definire uno Stato più o meno sicuro. Se la magistratura esonda dai propri poteri attribuendosi delle prerogative che non può avere come quella di definire uno Stato sicuro, deve intervenire la politica che esprime la volontà popolare. Noi rispondiamo al popolo, se il popolo non è d’accordo con quello che facciamo, noi andiamo a casa”.
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