Attualità

Migranti e sovranità, l’Italia nella trappola delle norme europee

di Francesco Carraro -


La recentissima vicenda degli immigrati – “deportati” in Albania, secondo la versione di sinistra, ovvero ivi temporaneamente allocati in attesa di accertamenti, secondo la versione governativa – ha riacceso i riflettori sul rapporto tra diritto italiano e diritto dell’Unione. Un’eterna contesa su cui sono stati versati fiumi d’inchiostro e che dovrebbe stare a cuore ad ogni cittadino. Non foss’altro perché si tratta di stabilire se, e in che misura, il nostro Paese ha ceduto quote di autonomia a istituzioni extra-territoriali e trans-nazionali come quelle situate a Bruxelles, a Strasburgo e, per certi versi, anche a Francoforte. Insomma, stiamo parlando delle famose cessioni di sovranità che, a sentire chi ha in uggia i sovranisti, sarebbero una invenzione di questi ultimi. E invece sono verissime, e concretissime, come la vicenda da cui abbiamo preso le mosse ben dimostra. Il tema, però, ora è un altro: quanto, e fino a quanto, può “resistere” la struttura dell’ordinamento legislativo italiano di fronte alle “pressioni” delle leggi comunitarie e, già che ci siamo, del diritto internazionale latamente inteso? La risposta ci viene dagli articoli 11 e 117 della Costituzione. L’articolo 117, con la famosa riforma costituzionale (approvata dalla sinistra) del titolo V, nel 2001 è stato “rinnovato” come segue: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. In pratica, con tale ritocco venne costituzionalizzata, nero su bianco, la subordinazione della potestà legislativa nazionale agli obblighi (id est, ai trattati) internazionali. Ebbene, secondo l’interpretazione maggioritaria invalsa in dottrina e in giurisprudenza, tale modifica ha attribuito a tali trattati l’efficacia di “norme interposte”, quindi con una posizione “intermedia” tra la Costituzione e leggi ordinarie. Con sentenze nr. 348 e 349 del 24 ottobre 2007, il Giudice delle Leggi ha stabilito che i trattati, benché rubricabili al rango di norme interposte (e quindi superiori alla legge ordinaria) non assurgono, però, al livello delle norme costituzionali ed è necessario che siano sempre e comunque conformi alla Costituzione. Nel caso, invece, dei trattati comunitari – il cui ingresso nel nostro ordinamento è avvenuto in forza e per effetto dell’articolo 11 della Costituzione – e dei regolamenti europei, i cosiddetti “contro-limiti” sono rappresentati, per giurisprudenza granitica del nostro Giudice delle Leggi, dai principii fondamentali (artt. 1-12) e dai diritti inviolabili (artt. 13-54) della suprema Carta. Ergo, anche le regole dell’Unione sono, sia pure in modo meno stringente, subordinate alla Costituzione o quantomeno ai suoi “pilastri” (sub specie di principii e diritti costitutivi). Nel caso dei migranti e dei centri di accoglienza temporanei in Albania, la sentenza del Tribunale di Roma che ha fatto imbufalire il Governo si è richiamata a una pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea. Quest’ultima, a sua volta, ha sancito il principio secondo cui un Paese non può essere considerato sicuro quando, anche per una porzione soltanto del suo territorio, non siano soddisfatte le condizioni previste dalla direttiva Ue nr. 32/2013 (sul riconoscimento e la revoca della protezione internazionale) e dalla direttiva Ue nr. 95/2011 (sul ravvicinamento delle norme relative al riconoscimento e agli elementi essenziali dello status di rifugiato). Ora – a prescindere dal fatto che quella a cui si è ispirato il Giudice capitolino è una sentenza (e non una legge), come tale applicabile esclusivamente al caso concreto sottoposto all’autorità giudiziaria emittente e cioè la Corte di Giustizia della Ue – nel feroce dibattito che ne è seguito, nessuno ha ricordato l’esistenza di una regola “fondativa” dell’Unione sempre sistematicamente dimenticata quanto si affrontano i temi di cui si discute. Ci riferiamo all’art. 4 del Trattato di Maastricht che così recita: “L’Unione rispetta (…) le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell’integrità territoriale, di mantenimento dell’ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro”. Ebbene, come inequivocabilmente risulta da tale articolo, non solo l’Unione deve “rispettare” (e, quindi, non prevaricare) le “funzioni” dei singoli Stati membri di salvaguardia dell’integrità territoriale e di mantenimento dell’ordine pubblico (entrambe senza dubbio “intaccate” dal fenomeno migratorio), ma attribuisce addirittura l’esclusiva agli Stati medesimi con riferimento alla “sicurezza nazionale”. Dovremmo tutti prenderne buona nota. Ci siamo troppo abituati all’idea che sia “normale” aver ceduto amplissime porzioni della nostra sovranità patria a entità terze, e “altre”, rispetto a quelle legittimamente elette da noi. Al punto da aver forse inconsapevolmente scordato i pochi casi in cui possiamo, a giusto titolo e a buon diritto, affermare di essere ancora “padroni a casa nostra”.


Torna alle notizie in home