Micaela Ramazzotti a Venezia “Racconto l’emancipazione”
L’attrice Micaela Ramazzotti ha presentato al Festival del Cinema in concorso per “Orizzonti Extra” il film “Felicità” in sala dal prossimo 21 settembre.
di SACHA LUNATICI
Attesissimo esordio alla regia quello dell’attrice Micaela Ramazzotti che a Venezia 80 ha presentato in concorso per “Orizzonti Extra” il film “Felicità”, in sala con 01 dal 21 settembre. Al centro della pellicola la storia di una famiglia storta, di genitori egoisti e manipolatori, un mostro a due teste che divora ogni speranza di libertà dei propri figli. Desirè è la sola che può salvare suo fratello Claudio e continuerà a lottare contro tutto e tutti in nome dell’unico amore che conosce… per inseguire un po’ di felicità. Nel film, un cast importantissimo: oltre alla stessa Ramazzotti, Anna Galiena, Florence Guerin, Sergio Rubini, Matteo Olivetti, Max Tortora, Pierfrancesco Pappa e Beatrice Vendramin.
Micaela, cosa ti ha spinto a passare dietro la macchina da presa?
È un film che sognavo ogni notte. Nella mia fantasia c’era questa famiglia di Fiumicino, i Mazzoni, con due figli fragilissimi e buoni. Sentivo il desiderio di raccontare l’emancipazione di due fratelli nati da una famiglia malata, tossica e disfunzionale. Un percorso difficile e doloroso soprattutto se nasci in una famiglia che ti trascura e dove sei oggetto di vessazioni, con questi genitori che sembrano mostri a due teste. Ho scritto la sceneggiatura con altre due donne, Isabella Cecchi e Alessandra Guidi. Gli attori che avevamo in mente scrivendo Sergio Rubini, Max Tortora, Anna Galiena e Matteo Olivetti hanno reagito con entusiasmo, e questo mi ha dato il coraggio di proporre il film alla Lotus Production che mi ha assecondato a patto che interpretassi uno dei personaggi, Desiré.
Come descriveresti la famiglia protagonista del film?
Tra genitori e figli si instaura un rapporto come tra carnefici e vittime che spesso, purtroppo, proteggono i primi. Così succede con questi due figli, anime buone, proteggono questi genitori davanti agli altri, in una sorta di autoinganno. I Mazzoni fanno di tutto per nutrire i loro interessi: la madre ossessiva fa di tutto per tenere vicino a sé questo figlio fragile, a volte utilizzando anche delle medicine, mentre il padre Max lo denigra e allo stesso tempo sfrutta la figlia Desiré, che lavora nel cinema, perché vuole diventare una star della televisione. Mi piaceva l’idea di mettere due mondi a confronto: quello di Bruno (interpretato da Sergio Rubini, ndr), un professore di agronomia che abita a piazza Vittorio, con quello della famiglia dei Mazzoni, che ha un’altra cultura e un altro tipo di vita, gente non attrezzata a vivere.
Sei sempre stata interessata a raccontare le persone fragili…
Sì, è vero. Sono le persone che non si guardano le spalle, che non riescono a vivere in questo mondo e quindi intraprendono percorsi di psicoterapia. È una cosa che mi affascina da sempre, è come accendere un faro su chi si alza la mattina avendo dei moscerini nella testa. L’infelicità rende stanchi di testa e fisicamente; la felicità, anche se può durare solo un attimo, ti accende.
Quale messaggio ti piacerebbe lanciare con questo film?
Mi piacerebbe che riuscisse ad attenzionare il pubblico sul tema dell’emancipazione dalle famiglie disturbate e che fosse un piccolo strumento per permettere di intercettare la malattia e la morbosità che purtroppo a volte possono essere molto vicine a noi. Bisogna avere il coraggio di scappare.
Il tuo personaggio è un po’ l’emblema di tutto questo…
Desiré si emancipa dal momento in cui salva il fratello perché, come accade spesso, è quando aiuti gli altri che cresci e riesci a fortificarti.
In che cosa Desiré differisce dalle altre donne che hai portato sullo schermo?
Lei parte vessata, fragile, infelice e con l’angoscia di vivere. Poi acquisisce forza e coraggio perché sul treno quel fratello lo ha messo lei. È affranta e stanca ma una cosa l’ha fatta. Se dovessi immaginare questi due fratelli adesso, per me Claudio ora è nel suo centro di recupero ed è quasi guarito, mentre Desiré ha ripreso a lavorare e nel contempo ha intrapreso un percorso di psicoterapia.
Come è stato dirigere tuoi colleghi attori?
Questa storia non poteva non avere questi attori, dotati di una grande sensibilità. Solo loro potevano interpretare questi personaggi perché, anche se sfrontatamente mostruosi, sono riusciti a renderli umani.
Roma è una protagonista indiscussa del film..
C’è un contrasto tra una Roma deserta, rappresentata da Fiumicino con i suoi palazzoni dove vivono i Mazzoni, e una Roma viva come lo è Piazza Vittorio, con la cultura che si respira ad ogni angolo del quartiere.
Che riflessione hai fatto sul tuo futuro? Ti piacerebbe continuare a dirigere?
Il pubblico deciderà sul da farsi. Ho tanti progetti sul fronte della recitazione. Scrivere fa sempre bene, sto cominciando a buttare giù delle cose. Vedremo…
Torna alle notizie in home