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Mercenari “italiani” sul fronte russo-ucraino: la sentenza è definitiva

di Ivano Tolettini -

mercenari italiani


L’’ultimo a tirare in ballo il ruolo dei mercenari sul fronte russo-ucraino è stato il ministro degli esteri di Mosca, Sergei Lavrov, in un’intervista alla Cbs. “Continueremo a colpire obiettivi utilizzati dall’esercito ucraino, da mercenari stranieri e da addestratori ufficialmente schierati dagli europei per aiutare a colpire obiettivi civili russi”, attacca il capo della diplomazia di Putin. A più riprese dopo l’occupazione della Crimea nel 2014 da parte dell’armata russa, si è parlato del ruolo dei combattenti pagati in Donbass anche tra le file moscovite. Lo stabiliscono indagini condotte dalla magistratura italiana. Dal 2018 sono stati eseguiti arresti nei confronti di italiani e di stranieri residenti nella Penisola, come nel caso del moldavo Vladimir Verbitchii, conosciuto col soprannome di “Parma” e proprio nella città emiliana fu catturato dai carabinieri del Ros che eseguirono un’articolata inchiesta. Se alcuni mesi fa il tribunale di Messina ha inflitto 3 anni 4 mesi di reclusione a Giuseppe Russo, 32 anni, latitante dal maggio 2021 per avere combattuto con i filorussi in Donbass, è diventata definitiva la sentenza a 1 anno 4 mesi di reclusione a carico di “Parma” che gli fu inflitta a Genova nel luglio 2019. C’è chi ricorderà che nel luglio 2023 fu arrestato Alessandro Bertolini, estremista di destra che dal 2016 combatteva con le forze russe in Ucraina. Quanto al ricorso di Verbitchii, la Cassazione ha respinto le argomentazioni dell’avvocato Antonio Dimichele, confermando che è stato un mercenario, secondo la disciplina della legge 210 del 1995. Verbitchii per i giudici aveva combattuto nel conflitto del Donbass tra il 2014 e il 2016 con i filorussi “ricevendo vantaggi economici, pur non essendo cittadino, residente o membro delle forze armate delle parti in conflitto”. Anche per i magistrat di terzo grado la prova del corrispettivo ricevuto dal moldavo è oltre ogni ragionevole dubbio. Le intercettazioni avevano avuto un ruolo decisivo nonostante la difesa sostenesse la “manifesta illogicità della motivazione riguardo il tenore della conversazione intercettata, nonché inosservanza ed erronea applicazione delle norme che definiscono lo statuto internazionale del mercenario”. Secondo la difesa “l’espressione «vivere con lo stipendio del comandante» nel senso che l’imputato facesse da collettore delle retribuzioni spettanti ai vari componenti della formazione armata, curandone successivamente la distribuzione ai singoli aventi diritto” aveva un significato diverso. Per l’avv. Dimichele è un’interpretazione sbagliata poiché Verbitchii avrebbe combattuto in Donbass “senza alcun vincolo di natura contrattuale e non aveva mai percepito alcun compenso”. Perciò avrebbe vissuto con soldi propri, “integrati da rimesse provenienti dalla sua famiglia in Italia, da aiuti umanitari e da taluni beni alimentari, acquistati direttamente dal comandante, utili ad assicurare la minima sopravvivenza. La frase intercettata rivestirebbe questo preciso, e solo, significato”. Al contrario, per i supremi giudici se è vero che “Parma” combattesse senza un formale arruolamento, è provato che ci fosse una “corresponsione di utilità economiche, perfettamente ravvisabili anche nelle marginali elargizioni di beni e “ nei connessi risparmi di spesa di cui l’interessato fruiva per sua stessa ammissione”. Con Vladimir “Parma” furono bloccati dai carabinieri anche Antonio Cataldo e Olsi Krutani. Il secondo avrebbe svolto un ruolo di intermediario tra reclutatori e mercenari. Altri tre indagati risultavano irreperibili. La Cassazione sottolinea che nel maggio 1995 l’Italia ha ratificato la Convenzione internazionale contro il reclutamento, l’utilizzazione, il finanziamento e l’istruzione di mercenari, adottata a New York nel 1989, dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite dopo un complesso negoziato in cui l’Italia aveva da subito offerto un attivo e sostanziale contributo. Non solo, i giudici di legittimità sottolineano come i colleghi di merito abbiano ben analizzato il senso degli Accordi di Minsk del 5 settembre 2014 e dell’11 febbraio 2015. Invece, per l’avvocato Dimichele la sentenza d’Appello non avrebbe valorizzato il fatto che l’articolo 5 dell’Accordo di Minsk prevede “indulti e amnistie mediante l’emanazione di una legge che vieta la perseguibilità e la punizione delle persone in relazione agli eventi che hanno avuto luogo in alcune zone delle regioni di Donetsk e Lugansk dell’Ucraina”. Quanto alla giurisdizione è dell’Italia perché è “pacifico” che Verbitchii sia stato ingaggiato sul suolo nazionale.


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