Meloni cambia strategia e punta sull’Onu. In Europa è “stallo”
“Non consentirò che l’Italia diventi il campo profughi d’Europa” dice la premier Giorgia Meloni da New York, anticipando in parte il contenuto del suo intervento all’Assemblea generale dell’Onu. Una dichiarazione che ci dà il focus, appunto, su quello che sarà il tema principale del suo discorso di fronte ai 193 Stati membri dell’Onu. Il dossier sull’emergenza migranti è in cima alla lista delle priorità per Meloni, che porterà la questione anche al Palazzo di Vetro, dopo aver fatto leva prima sulle istituzioni europee ed aver avuto, solo in parte, una risposta da parte di Ursula von der Leyen.
La presidente della Commissione Ue, dopo aver fatto visita a Lampedusa la scorsa domenica, ha anche stilato un piano di dieci punti proprio in merito all’emergenza migranti. Piano per cui, dichiarano fonti delle Commissione, molti Stati membri si dicono pronti per l’attuazione. Voci che si discostano, e non di poco, da quelle che arrivano dal Consiglio Europeo che si trova in una “fase di stallo” nel negoziato sul testo per la regolamentazione delle crisi migratorie, e cioè quel dossier che contiene l’ipotesi di un meccanismo di redistribuzione dei migranti. Uno stallo che dal Consiglio Ue si sposta conseguentemente al Parlamento Europeo, costretto a sospendere il negoziato sul testo per il database europeo per le richieste d’asilo e sul testo contentente norme per lo screening congiunto degli arrivi. Ad annunciarlo è stata Elena Yoncheva, eurodeputata socialista a capo del gruppo di contatto, che era stato incaricato di velocizzare la riforma sull’asilo.
Un gruppo nato a seguito al voto del Parlamento Europeo dello scorso aprile che aveva adottato i mandati negoziali su tutte le proposte chiave del pacchetto migrazione e asilo, incluso il testo sulla regolamentazione delle crisi. Questo gruppo dell’Eurocamera si è riunito ieri, ma senza possibilità di proseguire con i negoziati. “Abbiamo appreso con rammarico che gli sforzi della presidenza di turno spagnola per raggiungere un mandato negoziale del Consiglio sul regolamento sulla crisi sono in fase di stallo” dichiara Yoncheva in una nota e spiega: “Il Parlamento ha più volte sottolineato il suo impegno verso una riforma globale della politica di asilo e migrazione dell’Unione Europea ma ciò è possibile solo se vengono affrontati tutti gli aspetti di questa riforma, anche per quanto riguarda la solidarietà e l’equa condivisione di responsabilità tra gli Stati membri dell’Ue”. Uno stallo, appunto, derivante anche dalla contrarietà dei governi conservatori dell’Est Europa.
Come ricordiamo, in prima linea di contrattacco, lo scorso aprile, si erano schierate l’Ungheria di Orbán e la Polonia di Morawiecki. Uno stallo che non solo fa emergere differenze e diversa unione di intenti, ma che rallenta le attività che in questo periodo avrebbero dovuto e potuto trasformare in norme le proposte approvate nei mesi scorsi sull’immigrazione, sulla scia del buon vento di aprile. Proprio per non interrompere del tutto questa “scia positiva” – o almeno, per mantenere alta l’attenzione sul dossier – fonti diplomatiche comunitarie spiegano che larga parte dei Paesi dell’Unione “esortano a un rapido superamento” e inoltre, molti di questi “hanno offerto solidarietà all’Italia ed evidenziato la necessità di attuare tempestivamente le misure indicate dalla Commissione nel piano di dieci punti e di dare seguito al Memorandum con la Tunisia”.
Eppure, maggioranza e, come si legge, “gran parte”, non significano unanimità e di conseguenza non si può pensare a un superamento di questa impasse solo con le buone intenzioni. Intanto, le parole di vicinanza che arrivano dalle istituzioni comunitarie si discostano da quello che accade nei singoli Paesi. Da Berlino, infatti, fanno sapere che “La Germania è oberata” dall’arrivo dei migranti, con il ministro dell’Interno che fa sapere (ma senza rispondere se nel Paese si sia raggiunto il limite di arrivi): “Penso sia chiaro che l’onere è elevato”. Insomma, sembra che la questione del ricollocamento vada bene a tutti (o quasi) a Bruxelles, ma poi quando il problema arriva nel giardino di casa, la situazione si ribalta. E così, per dare una botta al cerchio e uno alla botte – ma anche per non inimicarsi i suoi alleati tra i conservatori in Europa – Giorgia Meloni da New York ha detto: “Finché in Europa pretendiamo di discutere sulla distribuzione delle persone non ne verremo a capo: l’unico modo serio per risolvere la questione è lavorare insieme sulla difesa dei confini esterni”, ha spiegato. “Ora facciamo una nuova proposta: le altre nazioni sui ricollocamenti hanno difficoltà ma non è quello che io sto chiedendo: io sto chiedendo di fermare le partenze illegali”. Forse, così, lo stallo si raggira, ma si ricomincia dal “Via!”.
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