Itinerari d'identità

Melfi, la Sagra della Varola all’ombra del castello normanno-svevo

di Angela Arena -


Durante la penultima settimana di ottobre il centro storico di Melfi, cittadina lucana ai piedi del Vulture, si è trasformata in un bosco dove suggestivi stand enogastronomici dall’iconica forma di rifugi montani incantano turisti e curiosi con la magia dei prodotti realizzati grazie al delizoso e inconfondibile marroncino locale, oggi marchio Igp la ‘Varola’, dal nome del grande recipiente forato in cui viene arrostito. Insignita dal 2019 del riconoscimento di “Sagra di Qualità”, la kermesse è giunta alla sua 63° edizione ospitando circa 30.000 persone, che ogni anno giungono qui per degustare le prelibatezze a base del caratteristico frutto autunnale: castagnaccio, dolci e gelato di marroni, birra di Castagne, pizza al marroncino, ma anche pasta ottenuta dalla farina di castagne e carne condita con crema di marroni, il tutto innaffiato dall’Aglianico del Vulture, rigoglioso vino rosso doc della zona.

Sagra della Varola a Melfi: la storia

Oltre alla classica varolata, numerose sono state le iniziative messe in campo dalla co-progettazione in simbiosi con la Pro Loco guidata dal neo direttivo e il nuovo ufficio alla Cultura e Turismo, all’insegna della valorizzazione del territorio, dei prodotti tipici e della cultura. Il tipico castagno di cui è ricoperta l’area melfitana infatti, sarebbe stato importato dalla Turchia dall’Imperatore Federico II che qui soggiornò nel maniero normanno-svevo, tra i più grandi ed affascinanti del Sud Italia al cui interno è sito il Museo Archeologico Nazionale oltre al Sarcofago di Rapolla proveniente dall’Asia Minore. Inoltre, nel 1231, lo Stupor Mundi promulgò le celebri Constitutiones Augustales, corpo di leggi all’avanguardia che regolamentava il vivere comune e i rapporti tra sovrano e feudatari. Tuttavia, la storia di questo forte è legata alle diverse figure di spicco che nel corso del tempo si sono succedute al suo interno: sorto per volere di Roberto il Guiscardo alla fine dell’XI secolo, in posizione strategica tra Campania e Puglia, fu successivamente ampliato, dopo la caduta degli Svevi, da Carlo I d’Angiò che lo dotò di nuove torri eleggendolo a residenza ufficiale di sua moglie Maria d’Ungheria nel 1284 e, conseguentemente rimaneggiato dagli Aragonesi divenendo infine proprietà prima dei Caracciolo e poi dei Doria. Qui soggiornò anche Papa Niccolò II e si tennero importanti avvenimenti tra cui cinque concili ecumenici che promossero Melfi a Capitale del Ducato di Puglia e Calabria: le tracce del glorioso passato di Melfi sono visibili passeggiando tra i palazzi storici pubblici e privati, le piazze, le chiese e le sue fontane.


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