Mediterraneo, il fallimento della politica Ue sulla pesca
di GIUSEPPE MESSINA – La politica attuata dall’Ue nell’ambito della pesca è stata una delle peggiori nella storia recente. La conferma ci viene dallo studio del WWF, presentato in occasione della riunione del Comitato per la Pesca della FAO che si è tenuta a Roma dall’8 al 12 luglio 2024. Il WWF ha lanciato l’allarme sul sovrasfruttamento del Mediterraneo, ricordando come l’evento coincida con il “Fish Dependence Day”, ovvero il momento in cui l’Europa esaurisce virtualmente l’equivalente della produzione annua interna di pesce, molluschi e crostacei e deve ricorrere alle importazioni per sostenere la crescente richiesta dei consumatori.
Se guardiamo al Mar Mediterraneo, lo studio del WWF conferma come le scelte dell’Unione Europea in tema di gestione e controllo della fauna ittica siano state fallimentari tout court. Il Mediterraneo è uno dei mari più trafficati al mondo. Oltre il 35% del traffico commerciale passa attraverso Gibilterra, transita per il Canale di Suez o raggiunge i mercati russi e dell’Est europeo attraverso lo stretto dei Dardanelli. Fino a trent’anni fa, la responsabilità andava addebitata alle marinerie comunitarie. Nell’ultimo trentennio, però le flotte comunitarie che operavano nel Mediterraneo hanno subito il dimezzamento, sono quasi scomparse a causa della massiccia e insistente azione di demolizione e con il totale abbandono del settore a opera delle istituzioni dell’Ue, con l’obiettivo della sostenibilità della specie ittica e della riduzione dello sforzo di pesca. I risultati che emergono dallo studio del WWF non fanno che confermare che le flotte extracomunitarie, dotate di imbarcazioni innovative e con un’età media inferiore ai 10 anni, hanno sostituito la capacità di cattura dei natanti comunitari, aumentando lo sforzo di pesca.
L’assenza di regole condivise per il ripopolamento del Mediterraneo è stato un suicidio economico e sociale che ha danneggiato le comunità marinare che vantano “diritti storici” di pesca. La politica di cooperazione internazionale con i Paesi extra Ue non ha prodotto gli effetti sperati; ha contribuito solo ad arricchire le società di importazione di pesce, impoverendo le marinerie del Sud Italia. Fermo obbligatorio, giornate aggiuntive, “WestMed” e quote sui gamberi di profondità hanno sancito la fine delle attività trainate a favore delle flotte extra Ue, portando le giornate di attività delle imbarcazioni italiane al di sotto della soglia di sostentamento economico dell’impresa ittica. Le tre aree di nursery introdotte dall’Ue nel Mediterraneo determinano l’impossibilità di pesca per le marinerie comunitarie. Invece, gli stati extra Ue non hanno alcun limite con le flotte che pescano liberamente.
Non bisogna dimenticare le tante cause che esulano dal mondo della pesca e che incidono sulla sofferenza della fauna ittica nel Mediterraneo. I problemi di origine antropica come l’inquinamento da plastica, la dispersione di carburante, la perdita di habitat, il traffico marittimo che determina l’inquinamento acustico. Poi c’è l’effetto del cambiamento climatico, con l’aumento della temperatura del 20% rispetto alle medie globali. Si prevede che, in assenza di interventi, la temperatura nel Mediterraneo potrebbe aumentare di oltre 1,5 °C entro il 2050. Infine, la pesca illegale e non controllata che danneggia il settore della pesca sfuggendo a qualsiasi rilevazione. Anche la presenza di Zone Economiche Esclusive determina condizioni restrittive di accesso alla pesca da parte delle flotte comunitarie. Anche in questo caso la soluzione passa dalla diplomazia e da una strategia comune per la gestione delle acque internazionali. L’Italia è ancora alle prese con l’iter per rendere operativa la ZEE, istituita con legge n.91/2021, che si completerà con il decreto del Presidente della Repubblica da notificare agli Stati il cui territorio è adiacente a quello dell’Italia o lo fronteggia. Quali le soluzioni percorribili? Un cambiamento di atteggiamento nell’ambito della politica estera del nuovo Europarlamento e della Commissione. Sarebbe quantomeno auspicabile l’avvio di una fase diplomatica nuova con un tavolo che coinvolgesse tutti i paesi protagonisti nel settore della pesca nel Mediterraneo per stabilire una strategia di biodiversità condivisa. L’Unione per il Mediterraneo, organizzazione intergovernativa che raggruppa 43 Paesi europei del Mediterraneo, potrebbe essere il soggetto deputato a questo ruolo.
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