epa09859395 An image made with a drone shows the US Coast Guard using tug boats to attempt to free the 1,100-foot container ship Ever Forward, which ran aground more than two weeks ago, in the Chesapeake Bay two miles offshore of Arcadia, Maryland, USA, 29 March 2022. Nearly a year ago its sister ship, Ever Given, got stuck in the Suez Canal, blocking ship traffic for almost a week. EPA/JIM LO SCALZO
Il Mediterraneo rischia grosso. La guerra in Medio Oriente sta mettendo a repentaglio i commerci nel Mar Rosso e se la “porta” del Canale di Suez si chiude, per l’Italia, che sta puntando fortissimo sulla ritrovata centralità del Mare Nostrum, sono guai. L’ultimo campanello d’allarme lo ha suonato Sea Intelligence secondo cui l’impatto (negativo) della crisi dei traffici è (molto) più marcato per i porti mediterranei rispetto a quelli del Nord Europa. In particolare, la flessione per gli scali del Mediterraneo è stata stimata in circa il 39% mentre, per i porti che affacciano sull’oceano Atlantico, la flessione si ferma al 15%. Intendiamoci, sono cifre catastrofiche. Che preconizzano uno scenario da incubo. I traffici tra Europa e Asia rischiano l’impasse. E la prima rotta a saltare potrebbe essere quella mediterranea. E tanti saluti ai progetti messi in campo sulla base delle analisi, fino a qualche tempo fa più che solide, secondo cui il Mediterraneo sarebbe diventato – anzi ritornato – il centro del mondo insieme allo sviluppo dei nuovi mercati, quelli emergenti, insomma l’Africa.
Il “costo” della guerra nel Medio Oriente lo stanno già pagando le aziende (anche) italiane. Nei giorni scorsi, il presidente di Alis, Guido Borghese, ha denunciato che la crisi nel Mar Rosso ha comportato, per il fatturato delle aziende del nostro Paese, una flessione a doppia cifra. E non solo, perché nel resoconto di Borghese ci sono le strategie nuove adottate dai colossi della logistica: “Secondo una recentissima analisi di Allianz Trade condotta a marzo sugli effetti della crisi sulle aziende italiane e sul commercio internazionale è emerso che il traffico di navi che transita attraverso il canale di Suez è diminuito del 76% da inizio anno; il volume delle spedizioni intorno al Capo di Buona Speranza è aumentato del 193%, come conseguenza della scelta di circumnavigare l’Africa giungendo allo stretto di Gibilterra e poi al Nord Europa e, quindi, lontano dai nostri porti; le tariffe dei container sono aumentate del 177% rispetto a novembre 2023 e negli ultimi sei mesi il fatturato delle imprese colpite dalla crisi del Mar Rosso è diminuito del 14,2% rispetto al semestre precedente”. In pratica, la rotta oceanica, quella che sarebbe stata spodestata dal “ritorno” al centro del Mediterraneo, si è ripresa in pieno il suo posto. In più, le tariffe pesano e i nostri porti, che si immaginavano di nuovo pieni, si stanno svuotando.
Un guaio, per tutti: “Nonostante le previsioni Ocse sull’Italia siano incoraggianti con una stima del Pil in crescita dello 0,7% quest’anno – ha aggiunto Grimaldi – e dell’inflazione all’1,1% (dopo il 5,9% del 2023), purtroppo le aziende prevedono ulteriori cali di fatturato per il 2024 ed i porti italiani continuano a registrare notevoli perdite di traffici”. Insomma, siamo nei guai. Anche perché, se continua così, sono a rischio parte delle strategie a più ampio raggio, o se preferite a medio-lungo termine, su cui si sta muovendo l’Italia a livello istituzionale e commerciale. Se il Mediterraneo si svuota, il piano Mattei rischia di rimpicciolirsi. O, quantomeno, diventa necessario trovare nuove strade da aprire, nuovi collegamenti da tracciare, nuove rotte da inaugurare affinché oltre ai collegamenti dell’energia restino in piedi anche quelli legati agli scambi internazionali al di fuori del bacino mediterraneo. Come commerciare, per esempio, con l’India – con cui l’Italia si sta legando (anche in funzione anti-cinese) – se il Mar Rosso è in fiamme e Suez traballa? Sarà necessario passare dal Nord Europa, così che i porti olandesi, francesi e tedeschi confermino e rafforzino la loro leadership. Che è tutta fondata sulle rotte oceaniche. La guerra, anche se ci appare sempre “degli altri”, la paghiamo noi.