Giustizia

Magistratura e politica, un confronto è possibile, se non si parla di riforma della giustizia

di Giuseppe Ariola -


La notizia è di quelle alle quali quasi si stenta a credere: magistratura e politica – o meglio, centrodestra – riescono ad andare addirittura d’accordo. Ovviamente a tratti, non ci illudiamo, e a patto che sul tavolo ci siano questioni esclusivamente tecniche e funzionali a superare le problematiche relative all’amministrazione della giustizia. L’incontro di ieri nell’ufficio del Guardasigilli tra il ministro della Giustizia Carlo Nordio e una delegazione dell’Associazione nazionale magistrati, guidata dal presidente Cesare Parodi, è infatti andato non solo bene, ma si è addirittura svolto in un “clima sicuramente collaborativo”, come lo ha definito il numero uno del sindacato delle toghe e di “reciproco rispetto”. È la dimostrazione di come e, soprattutto, di quanto il reale motivo di astio di certi magistrati nei confronti del governo sia rappresentato dalla riforma della giustizia. Sulla separazione delle carriere in magistratura e sul sorteggio dei componenti del Csm non c’è margine alcuno di discussione e, anzi, si è registrata più di una tendenza a reagire alla legge costituzionale al vaglio del Parlamento, anche con la conferma della futura adesione dell’Anm ai comitati referendari che organizzeranno le opposizioni. Su tutto il resto è possibile invece immaginare una leale collaborazione istituzionale. Non solo sulla necessità di potenziare gli organici degli uffici giudiziari, di procedere con la stabilizzazione del personale precario e di ridurre la durata dei processi, ma anche su temi particolarmente delicati come le misure immaginate per far fronte al sovraffollamento carcerario, a partire da una riforma della carcerazione preventiva, rispetto alla cui limitazione la magistratura è sempre stata scettica. Dal canto suo, l’Anm ha avanzato l’ipotesi di un’amnistia sulla quale però c’è la contrarietà del governo e anche sulle Rems (strutture per i detenuti affetti da patologie psichiatriche) c’è stato un confronto positivo.
L’incontro è stato dunque salutato con favore da entrambe le parti, evidentemente perché, come ci confermano fonti del ministero della Giustizia, quando il confronto non riguarda questioni che vedono le toghe trincerarsi su posizioni ideologiche, il dialogo tra politica e magistratura è non solo possibile, ma addirittura proficuo. Ma purtroppo, l’impulso a irrompere nell’agone politico su alcuni temi in particolare risulta irrefrenabile per qualche giudice. La dimostrazione si è avuta sempre ieri con un attacco rivolto proprio al ministro Nordio, poche ore prima dell’incontro in programma con l’Anm. Il Guardasigilli, intervenendo in tv sul dramma dei femminicidi, aveva sottolineato come, tenuto conto del rapporto tra popolazione italiana e straniera, la percentuale di quelli commessi da stranieri è estremamente alta, evidenziando quanto incida notevolmente una matrice di origine culturale. Poi, ricordando come una mentalità per la quale la violenza sulle donne in alcune parti del mondo sia perfettamente legittima, il ministro ha anche definito difficile per chi proviene da luoghi dove certe prassi (barbare, aggiungiamo noi) non costituiscono reato ambientarsi a una cultura differente. Considerazioni assolutamente condivisibili, oltre che, per quanto riguarda i femminicidi, suffragate dai numeri elaborati dagli uffici del Viminale, che pure hanno visto la reazione, prima ancora che di esponenti di Pd e Movimento 5 Stelle, di Egle Pilla, presidente dell’associazione delle toghe progressiste di Area DG. Per la giudice, dal riferimento all’incidenza dei colpevoli stranieri di femminicidio fatto dal Guardasigilli emergerebbe “la sottovalutazione delle ragioni profonde sottese alla violenza di genere”. Un’entrata a gamba tesa dal sapore squisitamente politico sintomatica di quell’atteggiamento teso a inasprire gli animi invece di favorire un rapporto di sereno confronto tra politica e magistratura.


Torna alle notizie in home