Economia

“Made in Italy nel mondo a rischio, governo intervenga”

di Redazione -


di ERICA CIANCIO
Le potenzialità del Made in Italy alla luce dei cambiamenti geopolitici in corso. L’identità affronta tutto questo con Ornella Auzino, imprenditrice napoletana, titolare di un’azienda produttrice di borse per conto terzi, che annovera tra i suoi committenti anche alcune griffe del lusso. Quanto vale, oggi, il Made in Italy in termini di Pil? Il Made in Italy, specie nel settore della moda, rappresenta un pilastro fondamentale dell’economia italiana, con una significativa influenza a livello globale. Il 2022 ha visto il fatturato del settore moda raggiungere i 96,6 miliardi di euro, con un incremento del 16% rispetto all’anno prima. Si tratta del valore più alto mai registrato, grazie alla spinta delle esportazioni. Le previsioni sul 2023 indicano una crescita più moderata, con un incremento attorno al 4% rispetto all’anno precedente e un fatturato atteso intorno ai 103 miliardi. Le crisi geopolitiche hanno portato a uno sconvolgimento nelle rotte commerciali tra Oriente e Occidente. L’eccellenza italiana ne ha risentito? E in che termini? Subito dopo il Covid è accaduto quel fenomeno invisibile che io chiamo “una guerra senza bombe”. La guerra commerciale non mostra palazzi crollati, ma sta portando alla chiusura di molte aziende, al cambiamento delle filiere e a scelte che influenzano il nostro sistema manifatturiero. Nello specifico, quando la Cina ha creato quasi un embargo, chiedendo ai propri abitanti di acquistare solo prodotti interni e limitando gli spostamenti, questo ha danneggiato notevolmente il settore. Poi è sopraggiunta la guerra in Russia, con tutte le problematiche annesse. I russi sono noti per essere grandi commercianti e hanno sostenuto interi territori in Italia. Ho molti amici nelle Marche che raccontano di viaggi settimanali di gruppi di clienti russi per acquistare merce da portare in Russia. Quindi, sicuramente, questa potenza che si è chiusa e ha problemi a comunicare con l’Europa ha creato ulteriori problemi. Poi, la guerra israelo-palestinese, che secondo me ha dato il colpo finale. Quindi sì, la filiera italiana ha assolutamente risentito di queste crisi. Tema lungamente dibattuto, la contraffazione. Se prendiamo un lasso di tempo di 10 anni, quale è stata l’evoluzione del fenomeno? Negli ultimi 10 anni, grazie alle tecnologie, la contraffazione ha invaso sempre più fasce di mercato. Quando parlo di invasione, mi riferisco a vere e proprie acquisizioni di fasce di mercato. Ad esempio, si parla di prodotti falsi, i cosiddetti “fake” o “pezzotti”, che una volta venivano venduti sulle bancarelle e ora vengono tranquillamente venduti attraverso le dirette su TikTok, pagine Instagram o Facebook, senza che nessuno faccia nulla. Questo dilagare del fenomeno sui social ha normalizzato qualcosa di completamente illegale. Inoltre, ha aperto la strada a un altro fenomeno sempre più dilagante: l’overrunning, ovvero le sovrapproduzioni non consentite dai brand e vendute sottobanco da chi produce per questi brand. Cosa può fare il governo? Quello che si potrebbe fare a livello normativo è inasprire le norme e la punibilità per chi compra sia online che offline. Attualmente le pene sono ancora troppo blande. Inoltre, sarebbe opportuno avviare una vera e propria campagna informativa sullo sfruttamento, l’inquinamento e tutto ciò che avviene dietro la contraffazione, informando anche sui rischi legali dell’acquisto diretto dalle fabbriche di prodotti di lusso. Esiste, secondo lei, anche una chiave di coinvolgimento internazionale? Ci sono alcuni paesi, come la Turchia o località come Sharm el-Sheikh, che si sono specializzati nella vendita di prodotti contraffatti. Spesso, la contraffazione presente sui marciapiedi è vista come un ammortizzatore sociale: la società non può sostenerti, quindi trovi sostentamento attraverso questo lavoro, mentre io fingo di non vedere e tu hai un sussidio per vivere. A livello internazionale, sarebbe necessario creare delle blacklist, anche nel settore del turismo, per quei paesi che sponsorizzano attività illegali e la contraffazione. Un’altra soluzione potrebbe essere la creazione di una legge ad hoc che richieda l’autenticità dei prodotti provenienti da certi paesi.


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