Economia

Tutti gli affari (e i nodi) del Made in Italy

di Giovanni Vasso -


Il mondo ha fame di Made in Italy, nonostante i dazi e nonostante la minaccia dei falsi. Ieri si è celebrata la giornata dedicata alle eccellenze tricolori. Un tripudio di numeri, cifre, dati che restituiscono la forza del brand, appunto Made in Italy, in tutto il mondo. Un successo che si evince anche al contrario se è vero che, come diceva Charles Caleb Colton, che l’imitazione è la più sincera delle adulazioni. Quando si parla di eccellenze italiane nel mondo, il pensiero vola all’agroalimentare. Stando a Coldiretti l’intera filiera allargata, dai campi alla tavola passando per la ristorazione, rappresenta “la prima ricchezza del Paese” e vale qualcosa come 620 miliardi, dà lavoro a circa 4 milioni di persone ed è alla base di un ecosistema che conta 730mila imprese. L’Italia ha consapevolezza che il cibo sia da considerarsi cultura, a tutti gli effetti. Lo pensa il 93,2% dei cittadini, secondo uno studio Federalimentare-Censis. Una percentuale che sale ulteriormente, fino al 93,5%, tra chi ritiene che la dieta mediterranea rappresenti uno stile di alimentazione e di vita sano e improntato al buonsenso, alla moderazione e alla qualità. Paolo Mascarino, presidente Federalimentare, ha gonfiato il petto d’orgoglio: “Siamo la prima manifattura del Paese con quasi 200 miliardi di fatturato e abbiamo raggiunto un nuovo record dell’export, per 57 miliardi pari al 9% in più rispetto all’anno precedente”. Secondo The European House-Ambrosetti l’agroalimentare Made in Italy ha raggiunto il livello record di export per un giro d’affari complessivo stimato in 67,5 miliardi. Si tratta di cinque miliardi in più rispetto al 2023, per una crescita stimata, dal 2010 a oggi, nel 6,5%. Un successo che si evince anche da un altro dato: poco meno dell’11% dell’export italiano totale è rappresentato proprio dall’agroalimentare. Ora, però, c’è il tema dei dazi. Che fa paura al settore. Coldiretti, per esempio, stima il giro d’affari del fake in Italy in circa 120 miliardi all’anno e adesso si teme che con le barriere doganali l’italian sounding possa fare affari d’oro. Non ne è convinto, però, Valerio De Molli, Ceo di Teha secondo cui “il problema dell’italian sounding già esiste”, ma non crede che “potrebbe accentuarsi per un 10% di incremento” del prezzo. Questo perché “Si tratta di comunicare con chiarezza al consumatore. In molti casi il consumatore sa perfettamente che compra un parmesan e non il Parmigiano reggiano ma lo fa consapevolmente perché privilegia il prezzo. Quindi non è che tutto quello che scimmiotta l’Italia sia vero fatturato rubato alle nostre imprese, posto che noi non avremmo nemmeno i volumi per soddisfare tutta questa domanda”. Insomma, troppo allarmismo.

Il Made in Italy, però, è anche altro. E non se la passa benissimo. Dall’automotive e la crisi che lo attanaglia fino alla moda. Stando ai numeri Unimpresa, il settore tessile, abbigliamento, pelletteria e calzature è tutto (o quasi) nelle mani sapienti dell’artigianato italiano. Si contano circa 40mila imprese artigiane attive a fronte di 96mila aziende del settore. Il fatturato è pari a 21 miliardi di euro e rappresenta poco meno di un terzo del business totale. Sono numeri in contrazione, pari all’8,1% in meno rispetto al 2023 dovute ai rincari  energetici, agli aumenti dei costi delle materie prime, al flop export (-5,3% nel 2024). Pesa, e non poco, anche la contraffazione che costa agli artigiani della moda qualcosa come 1,7 miliardi. A proposito di falsi, più o meno d’autore, arrivano i dati dei controlli delle forze di polizia. Che in due anni (2023/24) hanno concluso poco più di 60mila operazioni anti-pezzotto che hanno portato sotto sequestro, complessivamente, merci per oltre 532 milioni di euro. Al primo posto ci sono i giocattoli che rappresentano il 41,6% del totale, seguono i beni di consumo (33,4%) quindi l’elettronica (20,1%). A concludere il conto dei pezzotti ci sono i falsi della moda (3,14%), l’agroalimentare (0,6%) e il ritorno in grande stile del contrabbando di sigarette (1,05%).

C’è, infine, un altro settore che dà lustro al Made in Italy ma che trema, ormai da tempo. E non per colpa dei falsari, bensì a causa delle disposizioni che arrivano da Bruxelles. Si tratta del settore delle bibite che teme l’arrivo della Sugar Tax. Le bevande analcoliche italiane sono protagoniste di una continua crescita e l’export ha registrato un +117% negli ultimi 10 anni e un +20% nell’ultimo biennio, raggiungendo numerosi mercati, tra i quali gli USA, Canada e Regno Unito. Un comparto che, riferisce Assobibe, vale complessivamente 4,9 miliardi di euro e dà lavoro a 83mila addetti.


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