Cultura & Spettacolo

L’Utopia del maestro Currentzis sul pianeta Orchestra

di Riccardo Lenzi -


Non c’è quasi nessun altro direttore d’orchestra che abbia generato così tanto clamore in questi anni come Teodor Currentzis, protagonista del concerto di Santa Cecilia a Roma il 22 novembre. I suoi fan lo adorano quasi fosse il redentore della musica classica e lui li esalta con motti tipo: «Suoniamo musica come se fosse l’ultimo giorno della nostra vita!». Ma il consenso non è universale. Alcuni sono irritati dai suoi commenti eccentrici, dallo stile punk del suo abbigliamento da concerto, per non dire delle sue interpretazioni, discontinue, spesso elogiate, ma anche stroncate. Insomma, “genio e sregolatezza”. In “The Indian Queen” di Purcell a esempio la sua tavolozza orchestrale è notevole per ricchezza di colori, intensità melodica, impiego del vibrato nella ricerca di suono autentico che vada di pari passo con quella di un’espressività potente. E nella Sesta sinfonia di Ciaikovskij l’ardore slavo e il temperamento narcisistico influiscono positivamente, imprimendo una felice impronta drammatica.

Ma in “Traviata” come in “Don Giovanni” un dilagante protagonismo per il quale nessuno debba fargli ombra fa sì che gli interpreti vocali siano trattati alla stregua di orchestrali, in partiture che imporrebbero la presenza di cantanti dalla personalità rilevante. Nell’opera mozartiana in particolare esaspera il tono e i contrasti, i momenti in “rallentando” e i ritmi vorticosi, senza che spesso se ne capisca davvero la ragione se non il “fare scena”, come avviene nel finale primo, preso a una velocità vertiginosa, con il risultato di appiattirne i colori. Per questo uno dei critici più polemici nei suoi confronti fu Paolo Isotta: «Se qualcuno, che non sia un intimo, mi chiede che cosa penso di certi direttorucci di nuova leva, del genere dei “barocchisti” o del nuovo astro dei cretini, Teodor Currentzis, non ho abbastanza saliva per sputargli in faccia». Currentzis, nato in Grecia 51 anni fa ma formatosi musicalmente in Russia, ha ricoperto l’incarico di direttore principale della Swr Symphonieorchester di Stoccarda, di direttore artistico dell’Orchestra e del Coro MusicAeterna ed è fondatore e direttore artistico della neonata Orchestra Utopia, con la quale sarà protagonista del concerto ceciliano. L’Utopia, composta da 112 elementi, per lo più solisti e prime parti provenienti da 28 nazioni, è il frutto finale di un’idea a lungo coltivata, ha dichiarato Currentzis, e con lui «da un gran numero di musicisti provenienti da tutti gli angoli del mondo: unire le persone con un’idea musicale condivisa, per creare senza compromessi ciò che la nostra immaginazione musicale ci propone. Si tratta di un tentativo di lasciarsi alle spalle il quadro di istituzioni rispettabili che, pur essendo benedette, possono anche essere condannate a creare quello che potrebbe essere descritto come un certo suono internazionale standardizzato. Ci stiamo addentrando in un campo più sperimentale, alla ricerca del suono perfetto con musicisti di grande talento che questo desiderano».

Fin qui tutto nobile e interessante, ma poi eccede, manco fosse Paul Claudel: «La prima cosa che soffre della globalizzazione è l’intimità. L’emozione, l’unità e la dedizione di cui parlo si trovano molto probabilmente nel lavoro di un singolo musicista o di un piccolo collettivo. Vogliamo portare questa identità cameristica e questa intimità nella strumentazione completa di un grande concerto sinfonico. Quindi rinunceremo a ciò che conoscevamo e faremo un salto. Naturalmente, si tratta di un’idea utopica. L’utopia è qualcosa di impossibile, ed è questo che ci attrae: realizzare l’impossibile». Di questo passo giungerebbe ad affermazioni come quelle di un altro genio autoproclamato, Giovanni Allevi, quando si paragona a Mozart e sforna frasi del tipo: «A Beethoven manca il ritmo. Quello lo possiede Jovanotti». Comunque lo spettatore romano potrà farsi personalmente un’idea su questo artista, con un programma che prevede il Concerto per violino di Brahms, con solista Barnabás Kelemen, e la Quinta Sinfonia di Čajkovskij


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