Editoriale

Lo tsunami von der Leyen spacca il centrodestra e bombarda Pd e Campo Largo

di Dino Giarrusso -


Fratelli d’Italia, partito del consiglio Meloni, vota sì. La Lega, del vicepremier e ministro Salvini, vota no. Forza Italia, del vicepremier e ministro Tajani, vota sì. Il primo partito d’opposizione, il PD, si spacca con fragore di vetri rotti: nessuno dei 21 eurodeputati esprime il No che sembrava auspicasse la segreteria Schlein, 11 scelgono di astenersi, 10 invece votano sì, con la Picierno (vicepresidente del Parlamento e secondo rumors affidabilicandidata alla Presidenza per le elezioni di metà mandato) a capo d’una fronda avversa a Schlein, aspramente critica su social e giornali. Il M5S ed AVS, a differenza dei teorici alleati del PD votano invece un secco No, con Conte che sbarca addirittura a Strasburgo insieme a 50 parlamentari italiani per manifestare la propria durissima contrarietà al progetto di Von der Leyen. Che però è stato invece votato convintamente da 10 teorici alleati, compreso il probabile candidato unitario alla presidenza della Regione Puglia, De Caro.

In una riga: il voto europeo sulla proposta di riarmo firmata VDL è per la politica italiana un terremoto del decimo grado della scala Mercalli. 

La maggioranza è spaccata ma lo nasconde, minimizza, dà l’ordine di scuderia di fischiettare e dissimulare. Può sembrare incredibile, ma questa tattica funziona, paga dal punto di vista comunicativo e “passa” nella narrazione di questa drammatica giornata. E questo succede perché -come ormai spesso accade- dall’altra parte le spaccature hanno tutte le caratteristiche dello psicodramma, della sfida fratricida, della tragedia greca o della farsa alla Eduardo Scarpetta. Giorgia Meloni riesce a tenere il punto perché dall’altra parte non ha un avversario, non ha una squadra compatta, ma ha un gruppo di partiti -rectius: di persone- che non si sopportano fra loro e che dunque risultano così divisi (e spesso astiosi) da non poter fisicamente rappresentare un’alternativa credibile per i cittadini italiani. Immaginate una squadra di calcio che guida il campionato ma è in crisi di risultati e credibilità, che scende in campo però  contro 11 avversari che già al primo minuto si mandano al diavolo, non si passano la palla, non si parlano se non per battibeccare e non riescono a produrre uno straccio di gioco: chi vincerebbe? La risposta è scontata, mentre non è scontato per l’Italia avere così tante divisioni e problemi all’interno delle coalizioni e pure dei singoli partiti. Perché questo significa debolezza, minore credibilità rispetto a cittadini sempre più sfiduciati (che dei partiti invece dovrebbero fidarsi, e alla loro crescita dovrebbero collaborare), e significa anche minor forza in ambito internazionale, con buona pace dei proclami di autoglorificazione dell’entourage della Premier. Certo chi appare messo peggio è il PD, forte neo sondaggi ma stretto fra le spinte estremiste dehli pseudoalleati M5S (ma andatevi a leggere i commenti della base grillina per capire quanto sia solida l’alleanza) e le furiose guerre interne. Il voto di ieri, in tempi passati, avrebbe comportato le dimissioni del segretario o un congresso anticipato. Schlein è stata coraggiosa a candidare gente di valore come Tarquinio e Strada, ma deve prendere atto d’avere una grande fetta di partito che le rema contro. Altri problemi li hanno i coniugi Fratoianni, costretti a giustificare il possedere una Tesla, pagata “solo 47mila euro”, Piccolotti dixit. Chi non arriva a fine mese ha sempre più nostalgia di Enrico Berlinguer, che guidava una stagionata A112: qualcuno può dargli torto?


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