Politica

PRIMA PAGINA-Lo scontro totale sul caso Albania coinvolge anche l’Ue

di Giuseppe Ariola -


Il rientro forzato in Italia dei migranti inizialmente trasportati in Albania per poi essere rimpatriati nei paesi di origini espone il governo a diversi problemi, al di là del decreto varato ieri sera per porre rimedio alla questione. Dopo il caos innescato dalla decisione della sezione immigrazione del Tribunale di Roma, i tecnici di Palazzo Chigi, Farnesina, Viminale e ministero della Giustizia, a partire dallo scorso fine settimana, sono stati ininterrottamente al lavoro per scrivere norme in grado di mettere al riparo i futuri trasferimenti di immigrati irregolari verso l’altra sponda dell’Adriatico, un testo giunto sul tavolo del Consiglio dei ministri appena pochi istanti prima che la riunione del governo prendesse il via. Il decreto prevede che la famosa lista dei paesi sicuri, adesso portati a 19, sia stabilita con una norma di rango primario e non più secondaria (quale è, invece, l’elenco periodicamente aggiornato dal ministero degli Esteri), cioè una regola che assume forza di legge e che i giudici avranno quindi difficoltà a ignorare, nonostante il diritto e la giurisprudenza europea. Come ha infatti chiarito il sottosegretario Alfredo Mantovano dopo il via libera del Consiglio dei ministri al decreto sui paesi sicuri a proposito la sentenza della Corte europea richiamata dal Tribunale di Roma, “è estremamente complessa, riesce difficile individuarla come norma, come qualche giudice ha fatto in questi giorni”. “L’individuazione di un Paese sicuro – ha aggiunto –  è un procedimento complesso, di carattere al tempo stesso politico e amministrativo, che richiedono competenze specifiche all’interno dei ministeri, e che spesso utilizzano informazioni riservate o sensibili che sfuggono ad altri”.

Il tutto mentre continua a infuriare lo scontro politico con Alleanza Verdi e Sinistra che ha inscenato un flash mob davanti a Palazzo Chigi, il Movimento 5 Stelle che ha presentato un esposto per danno erariale contro Giorgia Meloni e il governo alla Corte dei conti, Renzi che si mette in scia dei grillini e annuncia a sua volta una denuncia alla magistratura contabile e il Pd che, prima ancora che il decreto sui paesi sicuri fosse ultimato e approvato dal Consiglio dei ministri, già metteva le mani avanti paventando un attacco alle regole comunitarie. Ma non solo, perché dal Nazareno si è fatto riferimento anche a eventuali problemi che dal fronte italo-albanese potrebbero abbattersi sulla Commissione europea e sulla presidente Ursula von der Leyen. Il nesso tra le due questioni travalica gli aspetti tecnici e normativi sulla gestione dei migranti ed è squisitamente politico.

Strumentale o meno che sia, l’attacco della sinistra sul caso Albania non è, infatti, indirizzato più solamente al centrodestra italiano, ma dopo il problema che si è registrato sul fronte migranti si è intensificato anche sul fronte europeo, dove adesso, complice una narrazione approssimativa e parziale, risulterà più facile provare a impallinare Raffaele Fitto su cui pende l’accusa di provenire da una famiglia politica antieuropeista. In sostanza, adesso il Pd, dopo le uscite degli ultimi giorni, si è costruito l’alibi per non intercedere con il resto del gruppo dei socialisti europei nel tentativo di sminare la strada del ministro italiano verso a vicepresidenza esecutiva della Commissione Ue. Non solo, perché gli stessi equilibri politici all’Eurocamera sono stati investiti dai risvolti della questione dei centri italiani per i migranti irregolari in Albania con i liberali di Renew Europe, organici alla maggioranza Ursula, che si sono visti respingere da Ppe, Ecr e sovranisti la richiesta di inserire nel calendario della Plenaria la discussione sul protocollo tra Italia e Albania, sostenuta da verdi, socialisti e sinistra. Precisamente le complicazioni politiche annunciate dal Pd. Complicazioni ulteriormente aggravate dall’ammissione di una dei portavoce della Commissione europea che, interpellata, su quanto accaduto in Italia ha riconosciuto i ritardi dell’esecutivo europeo nella stesura di una lista di paesi sicuri valida per tutti gli stati dell’Unione. Una norma indispensabile anche per garantire l’efficacia del nuovo Patto Ue su migrazione e asilo.


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