Lo scandalo del carcere di Pescara: trasferita la direttrice indagata
A Pescara i segni e i danni della rivolta in un’ala ora inagibile del carcere San Donato dicono per intero la rabbia dei detenuti dopo l’ennesimo suicidio di uno di loro, un detenuto 24enne di origine egiziana: l’UilPA ne conta 12 dall’inizio dell’anno in tutta Italia, i sindacati del personale della polizia penitenziaria continuano a denunciare inascoltati le condizioni di sovraffollamento delle carceri italiane ove quasi due su dieci, una consistente quota di detenuti, non è nemmeno a conoscenza della possibilità di poter usufruire di pene alternative.
Il caso di Pescara, poi, denuncia anche uno scandalo riguardo alla condotta della direttrice della casa circondariale, Armanda Rossi, da tempo sotto inchiesta, che è stata trasferita nel carcere di Frosinone. Non una sospensione dall’incarico che ricopriva, solo un allontanamento dal carcere ove avrebbe posto in essere una catena di comportamenti e atteggiamenti ritenuti completamente irrituali: è accusata di omissioni di atti d’ufficio – scrive il quotidiano Il Centro – a suo carico sono state chiuse le indagini coordinate personalmente dal procuratore Giuseppe Bellelli. Contro di lei si era mossa la protesta degli avvocati difensori, dei detenuti e degli stessi agenti della polizia penitenziaria, coronata perfino da una relazione del magistrato di sorveglianza.
Circa venti – scrive il quotidano -gli episodi che le vengono contestati in un arco di tempo partito dall’aprile di due anni fa: il mancato ascolto e l’omesso riscontro delle segnalazioni del magistrato di sorveglianza, l’ordine immotivato di far denudare improvvisamente un detenuto per perquisirlo, le singole e circostanziate accuse pervenute da 37 dei detenuti lì custoditi, nessuna garanzia sul cibo da molti in carcere ritenuto scadente, il trattenimento del denaro che i familiari versavano per le spese quotidiane dei detenuti, il peggioramento non autorizzato delle condizioni di detenzione di un collaboratore di giustizia, la trascuratezza e il diniego dimostrati rispetto alle richieste di permessi avanzate dai detenuti.
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