L’INTERVISTA – Il sondaggista Noto: “Giorgia più forte di questi scandali, ma deve candidarsi. Il Pd? Aiuta Conte”
ANTONIO NOTO, AUTORE
“Giorgia più forte degli scandali, ma deve correre alle europee”. A dirlo il sondaggista Antonio Noto.
Quanto conta il caso Verdini sul giudizio degli italiani?
Un caso in sé non conta mai niente. Bisogna, poi, capire quanto sia coinvolto il governo o qualche suo esponente. Non mi sembra più di tanto. Detto ciò, gli italiani, sono abituati agli scandali. Sanno che alle fine molti di loro diventano un nulla di fatto. Il problema, dunque, non è il Verdini gate, ma lo diventerebbero una serie di casi come questo o se, piuttosto, quello in corso dovesse allargarsi alla maggioranza. Nell’immediato, comunque, non ritengo abbia influenzato molto, anzi quasi nulla.
E quello Pozzolo potrebbe penalizzare il governo?
La scelta del consenso, oggi, è più accurata che mai. Il caso influisce sulla reputazione dei singoli, ma non orienta il voto. Per fare ciò occorre un’alternativa forte. È difficile che una persona che alle ultime elezioni ha scelto Fratelli d’Italia possa votare domani Partito Democratico o Movimento 5 Stelle per quanto accaduto durante la notte di Capodanno.
Quale la strategia della premier in vista delle europee? Giorgia dovrebbe candidarsi?
La candidatura di Giorgia potrebbe essere un’arma vincente. In questo particolare momento vale Meloni e non Fratelli d’Italia. Un partito senza la premier candidata dovrebbe fare una campagna sottotono e ciò porterebbe a un risultato non entusiasmante. Giorgia, al contrario, è valore aggiunto in termini di consenso e solo con lei può essere superata la soglia del 30 per cento. Senza di lei diventa molto più difficile raggiungere l’obiettivo.
Il problema, però, è che la prima donna a Palazzo Chigi si trova di fronte a un bivio. Meglio preservare la battaglia identitaria che le ha consentito di scalare le gerarchie o conviene andare avanti nella svolta atlantista, europeista e via dicendo?
Questo nodo non sarà mai sciolto perché qualunque scelta comporta una perdita di consenso. Meloni continuerà, piuttosto, a tenere la stessa linea odierna: un giorno è europeista e l’altro non lo è. Berlusconi, d’altronde, ha costruito una fortuna politica su tale strategia. Un giorno diceva un qualcosa e quello dopo l’esatto contrario. È chiaro che le ultime decisioni sulla politica estera lasciano insoddisfatto un po’ di elettorato di destra. Dall’altra, però, abbandonando la linea moderata rischierebbe di bloccare la crescita. Se Fratelli d’Italia si fosse affidato solo ai sovranisti, non sarebbe arrivato ai numeri attuali. Non dobbiamo meravigliarci, dunque, se Meloni un giorno vota contro il Mes e quello dopo è a braccetto con von der Leyen.
La Lega, invece, come si muoverà?
Al momento non ha trovato un suo posizionamento per sviluppare una campagna in grado di produrre consenso. Sta facendo, piuttosto, quella del 2019, quando l’antieuropeismo fu il leitmotiv e produsse un risultato forte, tanto è vero che fu raggiunto il 34 per cento. C’è, però, un aspetto che Salvini non ha compreso. Con il Covid è cambiato il mondo. Gli elettori, oggi, pur essendo critici nei suoi confronti nei suoi confronti, si sentono rassicurati dall’Europa. Hanno registrato la sua presenza durante la pandemia. Se vuoi rifare, dunque, la stessa campagna di cinque anni fa, rischi di essere perdente. Il pianeta è cambiato, così come la percezione dei suoi abitanti, tanto è vero che le posizioni estremiste di Matteo non hanno prodotto più consenso. Il partito è intorno al 9 per cento e l’antieuropeismo non ha dato i frutti sperati.
La strategia dei progressisti, al contrario, è vincente o invece le divisioni tra Conte e Schlein saranno controproducenti col passare dei giorni?
Dobbiamo tenere a mente che il 9 giugno si voterà alle europee. Il partito che prenderà più voti si può auto-dichiarerà leader della coalizione. È chiaro, pertanto, che Conte miri ad avere un voto in più del Pd o andare quasi alla pari.
È un traguardo raggiungibile?
In tutti i sondaggi, il M5S è solo qualche punto indietro al Pd. Il vero problema è che Conte continua a essere punto di riferimento per gli elettori che si dichiarano di sinistra. Schlein, pur avendo tale obiettivo, non è riuscito a realizzarlo. Non si trattava di una sfida semplice, ma neanche impossibile da realizzare. Ciò, intanto, comporta che il nemico per Conte non è Meloni, ma Schlein. Deve, infatti, rubare voti a quel tipo di elettorato.
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