“Le europee possono essere l’occasione per riunire quello che una volta era il PDL. Con il proporzionale c’è spazio per tutti”. A dirlo Carlo Giovanardi, già ministro per i rapporti con il Parlamento.
Si tratta di un progetto abbastanza ambizioso. Da dove partire?
In Italia ci sono un centinaio di partitini che gravitano nell’area liberale-popolare di ispirazione cristiana. Mi riferisco a tutte quello che forze che sono lontane dalla sinistra, ma allo stesso tempo non hanno nulla a che vedere con i sovranismi.
Quale può essere il riferimento?
Il riferimento naturale è il Partito Popolare Europeo. Si tratta del più forte soggetto politico nel continente, che in Italia è rappresentato da Forza Italia, passata dal 38 per cento del Pdl al 5/6 per cento di oggi. Ecco perché serve allargare il perimetro e mettere insieme realtà che condividono valori, progetti e visione. Il punto di partenza sono le circa venti sigle di Popolo e Libertà, aggregazione che non a caso richiama il Popolo delle Libertà e poi rivolgersi ai tanti centri, che in Italia, hanno difficoltà a dialogare tra loro.
A chi si riferisce?
A queste latitudini, ad esempio, ci sono dodici democrazie cristiane con altrettanti segretari, sempre in lite tra loro: Cuffaro, Rotondi, Cesa, Cambiamo Toti che ora è confluito in Noi Moderati di Lupi, Brugnaro, Mastella, De Luca e via dicendo. Sono una miriade di realtà, ognuna delle quali, però, non arriva all’uno per cento.
Quale, dunque, la sfida?
Metterle insieme in una sola lista per le europee, ma allo stesso tempo facendo in modo che ognuna di loro mantenga la propria identità. Un esperimento già riuscito alla Dc, dove pur non mancando le correnti, si conviveva sotto un solo simbolo. Alle elezioni, infatti, non votavi il partito dei dorotei, dei fanfaniani, dei basisti e via dicendo. C’era una sola lista e ogni corrente sosteneva il candidato che voleva. Veniva, dunque, garantito il pluralismo, senza però indebolire la balena bianca. Non capisco, dunque, perché non possa avvenire lo stesso sotto il simbolo del Ppe.
In che modo?
Alle europee si vota col proporzionale e con la preferenza. Tutti, quindi, possono pesarsi, ma senza spaccare la squadra e lasciare spazio agli avversari. Non c’è un collegio uninominale da contendersi. Ognuno piazzerà il candidato e cercherà di farlo eleggere, ma portando l’acqua a un solo mulino.
C’è chi, però, come Cuffaro già da tempo è in campagna elettorale…
Noi abbiamo intenzione di invitare tutti, senza escludere nessuno. Cuffaro stava interloquendo con Forza Italia. Sono arrivati alla rottura perché doveva rinunciare al suo movimento. Gli azzurri, però, non si sono resi conto che stavolta anche per loro sarà impresa ardua raggiungere il 4 per cento.
Auspica, dunque, che pure Forza Italia faccia parte del grande contenitore che ha in mente…
Me lo auguro. Pur essendo un amico fraterno di Berlusconi, gli volevo un bene dell’anima, non a caso sono stato nove anni al governo con lui, non mi ha mai chiesto di rinunciare al mio passato e sposare la sua creatura. Mi ha chiesto, invece, di entrare a far parte di una grande casa, in grado di mettere insieme storie e culture differenti. Non sono mai stato un forzista.
Anche tra i movimenti che prima annoverava c’è qualcuno che non è convinto del tutto sul Ppe. Mastella, ad esempio, dialoga con Renzi, sponsor italiano di Macron…
Il sindaco di Benevento fa parte del Ppe. Nel nostro progetto, comunque, c’è un solo paletto: l’alleanza col centrodestra. Non abbiamo intenzione di stare col Pd e i 5 Stelle. Con questi mondi non abbiamo nulla a che vedere. È sbagliato, a mio parere, stare in mezzo e collocarsi a seconda della contingenza. Così si perde credibilità.
Ritiene che Palazzo Chigi abbia sbagliato in qualcosa?
Tutti commettono errori. Questo governo era nato per smantellare il super-potere delle Procure, doveva semplificare la giustizia e togliere reati. Ne vedo, al contrario, di nuovi o vengono aggravate le pene. Ho visto anche le ultime proposte sulle carceri, non mi sembra che rappresentino la nostra sensibilità. Niente da dire sulla Meloni presidente del Consiglio, diversa da quando era segretaria. Sulla politica estera, ad esempio, sono stati compiuti importanti passi in avanti, così come su altre questioni. Il nostro sostegno all’esecutivo è indiscusso, ma allo stesso tempo non possiamo consentire che a prevalere siano i cosiddetti -ismi, gettando al vento quella storia politica che ha reso grande il Paese.
Come intendete distinguervi dai sovranisti?
Abbiamo un patrimonio che ci consente di essere autonomi. Mi riferisco a quello sui valori non negoziabili, sull’economia e sull’ambiente. Siamo lontanissimi, ad esempio, da Greta Thunberg e dai catastrofisti ecologisti che mettono a repentaglio il progresso e il benessere delle famiglie.
I numeri, intanto, dicono che Meloni e Salvini possono andare avanti anche da soli…
Il centrodestra ha vinto un anno fa solo perché il centrosinistra era diviso. Se i 5 Stelle e il Pd fossero andati insieme, avrebbero vinto le politiche. Laddove sono stati compatti, come a Napoli, Torino, Milano, Roma, Verona, Brescia, Bergamo, Udine, hanno vinto. I due partiti sovranisti da soli, Meloni e Salvini, con una Forza Italia al lumicino, a Trento ha preso il 2 per cento, difficilmente avranno futuro.
Perché il partito del Cavaliere ha perso così tanto terreno?
Il Pdl era forte perché riusciva a mettere insieme Alleanza Nazionale, i socialisti di Cicchitto, i liberali, i repubblicani, i democristiani. C’era, insomma, tutto che una volta veniva chiamato pentapartito. Adesso, invece, è la forza del pensiero unico.
Con Renzi, che ogni giorno parla di centro, non si potrebbe avviare almeno un confronto?
Ho lasciato Alfano quando ha votato la fiducia sulle unioni civili, che ha aperto inevitabilmente la discussione sull’utero in affitto. Su tali questioni avrebbe dovuto decidere il popolo. Mai nessun governo prima di quello capeggiato da Renzi si era sognato di chiedere la fiducia su tematiche così divisive. Andammo via perché non potevamo consentire che col nostro voto si arrivasse all’eutanasia. Non è un caso che Renzi dal 40 per cento è passato al 2 per cento. Partire dall’equivoco su programmi, contenuti, valori non negoziabili, vuol dire farlo in modo sbagliato. Si fa solo un favore alle destre e non al centro.