L’intervento/Antonio Guizzetti: “Berlusconi ci ha cambiato e continuerà a farlo”
di ANTONIO GUIZZETTI *
Nonostante la funesta previsione di Fukuyama, la storia non finisce mai. Le epoche invece finiscono e con la scomparsa di Silvio Berlusconi si chiude nella storia politica italiana un’epoca trentennale che mi ha sempre e coerentemente visto dall’altra parte della barricata. Il rispetto per qualsiasi defunto è sempre doveroso, ma non giustifica l’azzeramento della memoria. La comunicazione a senso unico, fatta solo di luci e niente ombre, è così generalizzata, nell’informazione italiana, che assomiglia a una cappa soffocante di conformismo e di piaggeria, al limite – qualche volta oltre – del culto della
personalità. Non s’infanga la memoria di Berlusconi se si parla dei suoi metodi per gestire, insieme, affari e politica – non si sa bene con quale priorità – dei suoi trascorsi giudiziari – in gran parte prescritti per decorrenza dei termini – dei suoi comportamenti privati – inevitabilmente pubblici, per uno come lui – spesso al limite della decenza. In Italia è stato quasi solo solo un coro di elogi, mentre da molti giornali americani, inglesi, tedeschi, spagnoli ed altri sono stati espressi dei giudizi a volte molto pesanti che inevitabilmente finiscono per coinvolgere il nostro Paese ed anche tutti noi, che, alla fine, lo abbiamo sempre ascoltato e molti lo hanno anche votato. Sui nostri media, quasi nessuno ha ricordato che è stato condannato con sentenza definitiva per frode fiscale, un reato
commesso non da un comune cittadino ma da un politico che è stato quattro volte presidente del Consiglio.
Sono passate sotto silenzio anche le numerose estinzioni dei procedimenti, causate non
solamente dalla lentezza della nostra giustizia ma anche da norme e lodi, le cosiddette leggi ad personam, che hanno favorito la decorrenza dei termini. Deve essere chiaro che Berlusconi, pur sottoposto a troppa, e qualche volta ingiustificata, attenzione da parte di alcune Procure (Milano su tutte), non è stato perseguitato dalla giustizia perché è entrato in politica, come lui ha sempre sostenuto, ma che lui, con ogni probabilità, è entrato in politica per non essere perseguito dalla giustizia. Da Berlusconi, vivo, mi divideva quasi tutto: la sua visione politica, la sua concezione dello Stato e delle sue Istituzioni, il suo bonapartismo da unto del Signore, la sua affannosa e affannata ricerca del consenso attraverso la sollecitazione degli istinti alcune volte peggiori della società italiana, il suo modello di premierato sostanzialmente fuori dai canoni delle moderne democrazie occidentali. Il Berlusconi morto (e sia davvero pace eterna alla sua anima) non può però cambiare il mio giudizio su di lui.
E trovo giusto, scusatemi la franchezza, continuare a pensare di lui quello che ne pensavo prima. Berlusconi non mi è mai piaciuto, né come uomo né come politico. Non mi
piaceva il suo conflitto d’interessi, non mi piacevano i suoi alleati e non mi piacevano molti
esponenti del suo partito. Come Italiano, poi, non mi è mai piaciuto il fatto che, anche per colpa sua, la politica italiana è peggiorata e si è involgarita, fino a giungere al degrado di oggi, che in una certa misura è anche figlio del berlusconismo. Il berlusconismo ha influenzato e continuerà a influenzare, ancora a lungo, la generazione che con esso si è formata e che di esso è frutto. Mi riferisco alle persone della mia generazione, che quasi non hanno conosciuto altri leaders politici, che non hanno mai militato in un partito vero, che non hanno mai assistito a un dibattito televisivo che non fosse di plastica e sempre all’insegna del conformismo, della banalità e della delegittimazione reciproca.
Mi riferisco alla generazione che aveva poco più di vent’anni nei giorni del G7 di Genova, quando in Italia, con Berlusconi come Primo Ministro, secondo Amnesty International, avvenne la più grave violazione dei diritti umani in un Paese democratico dal dopoguerra ad allora e dopo, nulla fu più lo stesso. Parlo di chi ha militato in una destra che ha avuto ben poco di liberale, molto di liberista e altrettanto di eccessivo, personalistico e presidenziale, senza gli adeguati contrappesi. Mi riferisco anche a chi ha militato in una sinistra che ha smesso da tempo di essere tale; senza coraggio, senza visione, senza passione politica e civile, talvolta addirittura senza dignità, a tratti pressoché indistinguibile dagli avversari e per questo si è votata a una sconfitta che non è solo elettorale ma anche morale, civile e culturale.
Silvio Berlusconi ci ha cambiato e continuerà a cambiarci. Ha creato un nuovo equilibrio che poi era uno squilibrio. O si stava con lui o si stava contro lui, in un bipolarismo forzato che non era un effettivo confronto fra delle idee diverse del paese Italia ma uno scontro senza esclusione di colpi fra chi beneficiava della sua presenza al potere e chi ne subiva le
conseguenze. E poi ha creato un grave paradigma, quando è stato costretto ad abbandonare Palazzo Chigi in seguito al fallimento del suo ultimo governo, che ha rischiato di coincidere con il fallimento dell’Italia, e gli sono succeduti una serie di esecutivi che l’hanno fatto qualche volta addirittura rimpiangere. Berlusconi ha stravolto l’Italia: dapprima con la tv commerciale, che ha modificato antropologicamente il nostro modo di pensare e di essere, e poi con la discesa in campo, che ha sconvolto l’assetto politico e condotto alla progressiva scomparsa di ogni struttura di partito, fino a lasciarci alle prese con una serie di contenitori senz’anima dominati dal leader di turno. Lui, solido uomo novecentesco, molto attento al mattone e alla stabilità economica e finanziaria, ha introdotto in Italia una leggerezza che non ha nessuno spessore culturale, tanto da sfociare nella fatuità e spesso nell’inconsistenza. Ora che non c’è più, al netto del mio giudizio personale, sinceramente negativo, non posso fare a meno di ragionare sul vuoto che vedo attorno a noi.
Berlusconi ha segnato un’epoca che adesso, inevitabilmente, si chiude. Ciò che verrà dopo mi fa paura, se non altro perché quasi tutti quelli che stanno tentando di interpretarla mi sembrano addirittura peggiori di lui, senza nemmeno avere i suoi soldi e la sua personalità.
Il mio giudizio negativo su Berlusconi condanna anche molti altri attori politici nazionali che
avrebbero potuto e dovuto contribuire a fare dell’Italia un paese migliore di quello che è oggi. Il sistema politico italiano era pronto col venir meno della Guerra Fredda ad approdare alla normalità europea di due schieramenti principali che si alternano senza traumi alla guida del paese. Le componenti moderate degli allora partiti di Governo avrebbero potuto dar vita a un normale centrodestra italiano ma i modernizzatori degli anni ottanta e novanta, pur di eliminare il rivale, si sono sempre arresi alla palude delle componenti conservatrici e moderate dei loro partiti che preferivano tirare a campare senza pensare agli interessi del Paese.
E difficilmente dalle paludi prolungate nasca un’innovazione razionale. Quella che fu tentata dal basso col movimento referendario da sola poteva fare relativamente poco. In quei momenti, vedendo il vuoto politico nello schieramento opposto, la divisione tra centro e sinistra, illusi di poter vincere alleandosi dopo in Parlamento, le elezioni a rotta di collo, e interpretando le leggi elettorali meglio di coloro che le avevano scritte, nacque il Berlusconi politico, da una costola del suo impero economico. Proprio questa genesi avvelenò il nuovo bipolarismo a livello nazionale, a differenza di quello pacifico che si era già sperimentato a livello degli enti locali anche incrociandosi talvolta con iniziative anomale del potere giudiziario.
In Italia, il conflitto di interessi, questa anomalia nazionale del potere economico che diventa politico, generò un partito e un polo personale e all’opposizione la tentazione di
descrivere questo avversario anomalo come un nemico contro cui allearsi solo in negativo. Un conflitto con esiti contraddittori. Da un lato non permetteva mai davvero a Berlusconi di creare problemi irresolubili al sistema, come nelle dimissioni che capì di dover dare col via libera a Monti, ma che non consentiva neanche di stabilizzare il sistema rinunciando a possibili rendite di posizione, impedendo così una successione regolata alla guida del centrodestra. Quello che resta l’errore maggiore e mai perdonabile, oltre all’errore minore – ma non irrilevante – di aver sprecato l’Italia il dividendo dell’euro nella legislatura 2001-2006 senza fare delle reali riforme. I limiti del berlusconismo sono stati enormi con devastanti effetti sulla politica italiana, ma i suoi sono anche stati i limiti di molti altri che hanno optato per l’immobilismo invece che per l’innovazione razionale, per la demonizzazione invece del riformismo.
Saremo in grado di non ripetere questi errori in questa fase della politica italiana che si apre con la morte di Berlusconi dove (soprattutto nei gruppi di opposizione) continua a prevalere una coazione a ripetere di facile demonizzazione dell’avversario ora che dall’altra parte non c’è più neanche l’argomento (vero ma parziale) del conflitto di interessi? Anche perché, pur nato male, con tutti i suoi difetti, il bipolarismo resta. E con una diversa leader il polo di centrodestra vive e sopravvive sempre come tale. In questo senso l’eredità politica di Berlusconi resta. Per avere un bipolarismo civile e competitivo occorre creare una vera alternativa di governo per il dopo Berlusconi, non per il prima. Berlusconi non è stato comunque una parentesi.
* Fondatore e Presidente di Guizzetti & Associates, già candidato alla segreteria nazionale del Partito Democratico
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