L’industria del cibo. Un business d’oro che guarda al sociale
Oggi, l’industria alimentare è un patrimonio nazionale. Il Censis ne è certo, e lo scrive nel primo Rapporto con Federalimentare su quella che è diventata industry badando ad essere “sintesi di tradizione e contemporaneità, di radicamento territoriale localistico e capacità di portare l’italianità nel mondo”. Ormai affermata la riconoscibilità dell’origine localistica, territoriale di marchi e prodotti che affiancano la vocazione a conquistare i mercati con il Made in Italy e, in generale, l’italianità. Una dimensione, quella localistica e nazionale dell’industria alimentare, che è sempre pù vincente nel sentiment degli italiani: il 78,3% di essi – quota che significativamente resta alta trasversalmente ai territori, una volta tanto azzerando il divario Nord-Sud – legge in maniera molto positiva la scelta dell’industria di continuare a mantenere la localizzazione degli stabilimenti sul territorio nazionale, creando reddito e lavoro. Segno distintivo spesso, per molti marchi storici che, pur interessati da dinamiche che hanno permesso l’ingresso di investitori stranieri o la diretta acquisizione da parte di Gruppi esteri, mantengono la produzione sul suolo italiano.
“L’intera filiera del cibo italiano, che vale complessivamente 607 miliardi di euro, un valore del 31,8% se rapportato al Pil, costituisce oggi, con 1,3 milioni di imprese e , 3,6 milioni di addetti, un patrimonio identitario: la sua tutela e la sua valorizzazione rientrano a pieno titolo nel perimetro dell’interesse nazionale”, afferma il dg del Censis, Massimiliano Valerii.
Passando ai dati specifici dell’industria alimentare, emerge che può vantare 179 miliardi di fatturato annuo, 60 mila imprese, 464 mila addetti e oltre 50 miliardi di export in un anno. Numeri che custodiscono, per il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida “un valore strategico e un elemento portante. Bisogna sempre più comprendere la potenzialità legata ai prodotti italiani. Questi dati fotografano una crescita del settore, sul quale il Governo continua a investire. Lo facciamo attenzionando il contesto, ma anche incentivando l’esportazione e promuovendo le aziende all’estero”.
Nel dettaglio, circa le graduatorie dei settori manifatturieri italiani, l’industria alimentare è al primo posto per fatturato, al secondo posto per numero di imprese, per addetti e per l’export in valore. In dieci anni il fatturato ha registrato un incremento del 24,7%, il numero di addetti del 12,2% e il valore delle esportazioni del 60,3%.
Circa l’export, il Censis non nasconde l’esigenza di azioni ormai indispensabili, che appaiono espresse anche con una insolita chiarezza, vero monito per le policy del Governo: la costruzione di un contesto per l’autonomia strategica dell’industria alimentare, riducendo al massimo la sua dipendenza per i vari fattori produttivi e “incentivando economie partner che rientrino nella nostra sfera d’influenza politica o in quella dei Paesi democratici”, il via di una più convinta azione di supporto alle imprese per l’espansione del Made in Italy, per “emanciparle da una certa solitudine che, da sempre, connota le operazioni di penetrazione nei mercati esteri. Non limitandosi a premiarli ex post quando ce la fanno a livello globale, ma affiancandoli anche in caso di contenziosi o in presenza di iniziative ostili di protezionismo più o meno nascosto e di azioni di Paesi supposti amici che invece cercano lateralmente di battere la competizione dei nostri prodotti”.
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