L’inammissibilità del referendum sull’autonomia differenziata
Il 20 gennaio 2025 la Corte Costituzionale ha ritenuto inammissibile il quesito referendario sulla legge n. 86 del 2024 relativa all’autonomia differenziata delle Regioni, che già era stata censurata pochi giorni prima con la sentenza 14 novembre – 3 dicembre 2024, n. 192. C’è voluta una nuova sentenza, sull’ammissibilità del referendum, e quindi dell’autonomia differenziata in quanto tale, per spiegare alle Regioni di sinistra che una volta intervenuta la prima decisione, abrogare la legge n. 86 significava abrogare l’art. 116, terzo comma, della Costituzione e ciò non è consentito neanche se a chiederlo sono le c.d. regioni “rosse”, i sindacati confederali o i partiti di sinistra, che massicciamente hanno speso la loro “residua” credibilità su questo referendum abrogativo. Se potessero abrogherebbero proprio il governo Meloni, ma non è questa la democrazia. Anzi, sono proprio le regole della democrazia a sanzionare sempre più la fine di quell’egemonia culturale che per decenni aveva convinto la classe dirigente della sinistra ancora persistenti nella società civile che ci sarebbe stata democrazia solo se avessero vinto i sedicenti “democratici”.
Evidentemente non basta più chiamarsi così per essere creduti tali. E non è vero che la legge non esista più come sostengono alcuni, semplicemente, in relazione al principio di unità nazionale previsto dall’art. 5 della Costituzione, che non era neanche stato invocato, né dai ricorrenti, né dagli intervenienti, bisogna adeguare i criteri di individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) in base ad una nuova legge. Questa indicherà “la soglia costituzionalmente necessaria” per rendere effettivi i diritti su tutto il territorio nazionale e per erogare le “prestazioni sociali di natura fondamentale” quale presupposto per l’attribuzione alle Regioni ordinarie delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, nelle materie di cui all’art. 116, comma 3, della Carta (norma generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, tutela e sicurezza del lavoro, tutela della salute, alimentazione, ordinamento sportivo, governo del territorio ecc.).
In sostanza, quando si tratta di diritti civili e sociali, che devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale, il vero problema è nella possibilità che dalla determinazione dei LEP derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica in quanto si può intervenire nelle suddette materie solo successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie. Ed in questo quadro è rimasto perfettamente operativo il meccanismo previsto dagli artt. 2 e 5 della legge, che hanno passato indenni le “forbici” della Corte Costituzionale nella sua sentenza n. 192. In base a queste norme le iniziative delle Regioni per chiedere l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, sono esaminate in relazione ai beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative determinate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Da segnalare in conclusione che la Corte ha prescritto che l’iniziativa regionale sia giustificata alla luce del principio di sussidiarietà.
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