Editoriale

Libertà di parola e delirio sinistro

di Adolfo Spezzaferro -


Ragazzi (la citazione è appropriata), mettiamoci d’accordo: la libertà di pensiero è un diritto sacrosanto, sancito e tutelato dalla nostra democrazia, purché però esercitato nell’ambito del rispetto e della legalità. Insomma, la libertà d’espressione non va confusa con la possibilità di insultare o accusare senza doversene poi assumere la responsabilità. La premessa è d’obbligo perché la vicenda di Luciano Canfora a processo per aver definito Giorgia Meloni “neonazista nell’animo”, con le anime belle dem che si stracciano le vesti ed evocano per l’appunto il diritto alla libertà d’espressione, la dice lunga su chi sistematicamente applica due pesi e due misure, per l’appunto. Provate a immaginare l’episodio a parti inverse – intellettuale non di sinistra che dà dello “stalinista nell’animo” a un leader politico di sinistra. Apriti cielo! Appunto. E invece ci tocca assistere allo spettacolo pietoso di circa trenta associazioni e organizzazioni e oltre duecentocinquanta cittadini che hanno firmato un appello di solidarietà nei confronti di Canfora, filologo e storico, professore emerito dell’Università di Bari, querelato per diffamazione dall’attuale presidente del Consiglio. All’epoca dei fatti – aprile 2022, durante un incontro sulla guerra in Ucraina in un liceo barese – Canfora aveva dato appunto della “neonazista nell’animo” alla leader di FdI, che nell’ottobre dello stesso anno sarebbe diventata premier. Ebbene, la procura ha chiesto la citazione diretta in giudizio per Canfora e l’udienza predibattimentale si terrà il 16 aprile prossimo. La premier sarà difesa dal sottosegretario Andrea Delmastro Delle Vedove, mentre Canfora da Michele Laforgia, candidato alle primarie del centrosinistra a Bari.
Al di là della giustizia, che farà il suo corso, ci preme evidenziare il delirio, il tripudio di faziosità di chi ha sottoscritto l’appello in difesa di Canfora. La leader di FdI, secondo questi scalmanati, avrebbe sì querelato Canfora ma in realtà – udite, udite – “il bersaglio ultimo dell’azione legale intrapresa dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni (che all’epoca non era ancora premier, ndr) è il diritto costituzionalmente garantito alla libertà di pensiero e di opinione”. Ancora, il giudizio di Canfora “sulle idee e sui sentimenti dell’onorevole Meloni – puntualizzano i firmatari – va ricompreso nel legittimo esercizio della critica politica, e l’opinione da lui espressa in quella circostanza può essere discussa, non certo ritenuta del tutto infondata oppure motivata da una semplice volontà denigratoria”. Sì, avete letto bene: nell’appello si afferma che l’accusa di Canfora non è del tutto infondata e in ogni caso non era stata rivolta soltanto per denigrare. In sostanza, questi scappati di casa vanno ben oltre la faziosità – negano la realtà affermandone una parallela tutta loro. Una narrazione secondo cui, dato il soggetto in questione – la leader di un partito di destra – ci sta che è per forza di cose “neonazista nell’animo”. E non è un’offesa: è un dato di fatto, una constatazione. Siamo alla follia. Qui appare evidente, conclamato, che la libertà d’espressione – per questi soggetti dissociati di cui sopra – può coincidere anche con la diffamazione se a parlare è un intellettuale di sinistra contro un politico di destra. Insomma, nei decenni cambiano le formule e la forma, ma la sostanza è purtroppo sempre uguale: la sinistra può dire tutto, la destra deve stare attentissima a tutto quello che dice.


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