LIBERALMENTE CORRETTO – Ma quanti sono gli imbalsamatori in Italia?
L’Italia è un Paese bellissimo da Lampedusa alle Alpi, con un ricchissimo patrimonio di arte e storia. Non esiste praticamente un lembo del territorio italiano che non sia di interesse artistico, paesaggistico e culturale. Ciò significa che tutto il territorio italiano e l’intero patrimonio immobiliare sono sottoposti alle cure premurose di un “vigilante”, che soprintende alla “conservazione”. E come “soprintende”? E come “conserva”? Mummificando l’interezza delle cose che costituiscono oggetto della sua vigilanza, ossia l’intero territorio italiano e tutto ciò che vi si posa stabilmente. Come il corpo del Faraone doveva essere imbalsamato per traghettare nel sopramondo, così i beni immobili in Italia devono permanere a tempo indeterminato nello stato in cui si trovano. Si capisce che il tempo indeterminato su questa terra non è identico all’eternità nell’alto dei cieli, però gli somiglia.
La filosofia delle 56 Soprintendenze ai beni culturali e ambientali si può riassumere nella parola preferita: “vincolo”. Essa non esprime una finalità, bensì un impedimento; e dunque traduce bene l’indole di fondo della vigilanza ostativa esercitata dal Soprintendente. Qualunque iniziativa privata o pubblica che comporti una minima innovazione allo stato dei luoghi incontra uno dei fatidici vincoli: se manca il monumento nelle vicinanze, ci sarà pure qualche bene culturale nell’arco dell’ettometro o del chilometro; e se mancasse pure quello, rimarrebbe comunque il paesaggio da salvaguardare, urbano o extraurbano poco importa. Ebbene questo inevitabile e onnipresente “vincolo” è una delle rappresentazioni più plastiche ed evidenti dell’autoritarismo della res publica italiana; non solo perché il vincolante, per definizione, gode di una posizione di supremazia rispetto al vincolato; ma soprattutto perché non ha alcun dovere nei confronti del vincolato. Innanzitutto, non ha alcun dovere di esplicitare con chiarezza e coram populo quali siano le espressioni concrete del vincolo. Alla presupposta domanda dell’utente “a cosa sono vincolato?”, risponde “non ti porre tante domande, sei vincolato al vincolo, punto e basta”. Ma c’è di più: non solo non esplicita ex ante le concrete inibizioni, ma nemmeno i criteri generali seguiti per inibire o permettere. Il vincolato non ha alcuna certezza a priori, può solo confidare nella ragionevolezza del vincolante, ma sempre e comunque deve iniziare il suo cammino al buio. Solo quando sarà emesso il verdetto, potrà sapere se il suo cammino potrà riprendere fino alla meta finale. Se i tribunali in Italia non sono obbligati a rispettare la giurisprudenza della Cassazione di dominio pubblico, figuriamoci se 56 Soprintendenti, i quali emettono verdetti oracolari, con motivazione ignota al pubblico, sono tenuti a rispettare un criterio omogeneo. Inoltre il vincolante non ha alcun obbligo temporale, giacché deve preservare la grande bellezza italiana da qui all’eternità. Non può curarsi delle urgenze, dei costi, dei sacrifici del vincolato; il suo ufficio è atemporale, essendo prossimo al ministero divino. Il vincolo dura finché desidera il vincolante. Punto.
L’Italia paralizzata piace tuttavia a molti. Gli apologeti dell’imbalsamazione sono numerosissimi. Fra questi pare si debba annoverare anche il ministro Giuli, che si oppone, con il plauso del verde Bonelli, al tentativo della Lega di mitigare i poteri paralizzanti delle Soprintendenze. Codesti appartenenti al partito trasversale dell’imbalsamazione somigliano al Candido di Voltaire, che si compiaceva di vivere nel migliore dei mondi possibili e desiderava che nulla cambiasse intorno sé. Non hanno capito due cose basilari.
1) La conservazione del patrimonio non può che essere dinamica, giacché ciò che non viene valorizzato deperisce. Perfino la natura si ribella all’imbalsamazione. I fiumi senza i necessari argini esondano, come accaduto in Emilia Romagna e Valencia. Il rogo di Los Angeles sarebbe stato meno devastante, senza il veto degli ambientalisti-imbalsamatori ai lavori programmati.
2) La paralisi italiana è figlia dell’autoritarismo, che per sua natura diffida di ogni iniziativa. La concezione autoritaria dello Stato a parole è deprecata dagli amanti del “progresso”; si scopre poi che il loro progresso coincide con l’imbalsamazione, nella quale trova espressione il massimo dell’autoritarismo di Stato.
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