LIBERALMENTE CORRETTO – La società senza eredi
Marcello Veneziani, nel suo ultimo libro, descrive, da par suo, una società senza eredi. Viviamo “in un’epoca che non conosce eredi e non si riconosce erede di niente e di nessuno. Non siamo eredi e non lasciamo eredi. Viviamo in un’epoca di contemporanei senza antenati né posteri. La prima a non riconoscere eredità da custodire e da trasmettere”. Dalle ceneri del nichilismo imperante, descritto magistralmente, emerge tuttavia il fumus della speranza. L’autore, in apparente contraddizione con sé stesso, vuole lasciare la sua eredità. E il suo personale contributo al domani dei nostri figli è la sinossi del pensiero dei Padri. Solo conoscendo e valorizzando l’eredità culturale pervenuta fino a noi dall’alba dei secoli, è possibile aprirsi al futuro. Senza il passato manca anche la prospettiva del futuro. Per questa ragione, egli si dà il compito di trasmettere il pensiero dei Maestri, da Vico a Kant, da Kafka a Croce, da Ratzinger a Pascal, sintetizzato in brevi schede monografiche. Non ha ovviamente la pretesa della completezza; è consapevole di trascurare alcuni giganti del pensiero, magari a vantaggio di autori meno conosciuti, ma non meno importanti. Nella società senza eredi, Veneziani pensa comunque agli eredi, ai sopravvissuti al deluge evocato da Luigi XIV e alle macerie dell’odierno nichilismo. In ultima analisi, lancia un estremo grido di speranza. E allora è necessario porsi una domanda di fondo: è proprio vero che viviamo in una società senza eredi? Uno dei più significativi elementi sintomatici – del rifiuto dell’eredità spirituale del passato e della contestuale indifferenza a quella del futuro – viene ravvisato nella dinamica dei partiti politici italiani. Tutti corrono a mondarsi del passato e darsi una nuova veste. Si toglie la vecchia insegna e se ne mette una nuova; si cancella ogni traccia del passato, cosicché i nuovi partiti sono orfani; nati dal nulla, figli d’ignoti; in dialetto siciliano, si direbbe “figli dello Spirito Santo”; il che però suonerebbe troppo lusinghiero per quei piccoli accidenti. Ebbene, il sintomo, acutamente osservato da Veneziani, non ci pare che possa assurgere a elemento probatorio, per la specificità spazio-temporale del fenomeno, innescato in Italia e solo in Italia dalla vicenda di “Mani pulite”. Inoltre Veneziani, facendo riferimento ai movimenti rivoluzionari delle epoche precedenti, osserva che l’umanità ha conosciuto forme anche più radicali di rottura col passato; ma giammai l’odierna indifferenza all’eredità futura; anzi quei rivoluzionari – aggiunge – erano proiettati verso il “sole dell’avvenire” che avrebbero lasciato in eredità alle future generazioni. Si può obiettare, tuttavia, che i nuovi partiti senza Padri e senza Patria, personalistici, nati dal nulla e probabilmente diretti verso il nulla, promettono comunque una palingenesi, più o meno confusamente “rivoluzionaria”, fortunatamente affidata alle urne e non più ai forconi. Dunque il domani delle nuove generazioni non è escluso dal loro orizzonte temporale, per quanto ristretto. Un secondo elemento sintomatico risiede, secondo l’autore, nella denatalità: mancano i figli e manca l’interesse a trasmettere alcunché. Anche in questo caso, si può osservare che Il fenomeno riguarda l’Italia e (un po’ meno) l’Europa, ma non il resto del mondo. È certamente vero che stiamo sperimentando una stagione di vuoto e il lascito alle future generazioni rischia di ridursi al sapere tecnologico, ma i giochi non sono fatti. Nel divenire storico della comunità umana non mancano le sorprese. Anche nell’Europa smemorata che ha ufficialmente rinnegato le sue radici cristiane, queste infine riaffiorano, cosicché il presidente Macron, esponente di spicco del consorzio rinnegante, si trova a inaugurare, suo malgrado, la cattedrale della “Nostra Signora”, uno dei simboli della cristianità. Non può cancellare il nostro passato e non può impedire la trasmissione del nostro lascito culturale. L’eredità non è scomparsa come memoria storica, né scomparirà come lascito culturale, semplicemente perché l’uomo, vivaddio, non è un automa in mano alle autorità politiche o ai detentori della tecnologia. In verità, il primo a esserne consapevole sembra proprio Veneziani, che non rinuncia al suo pregevole contributo alla memoria e al lascito.
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