Attualità

LIBERALMENTE CORRETTO – La carcerazione preventiva di Toti

di Michele Gelardi -

Il governatore della Liguria Giovanni Toti


“Custodia cautelare” suona meglio di “carcerazione preventiva”, ma faremmo meglio a chiamarla come prima. La restrizione della libertà, in attesa di giudizio, non perde la sua natura afflittiva, in virtù della nuova effigie “cautelare”; il cambiamento nominale ha un solo effetto: apre la strada a una grande e pregiudizievole confusione delle lingue. Se continuassimo a chiamarla carcerazione preventiva, ci renderemmo conto della sua ambiguità genetica, ineliminabile, che la sospende tra la sanzione afflittiva (”carcerazione”) e la finalità di prevenzione.

Al contrario, il nominalismo “cautelare” fa pensare che la componente sanzionatoria e afflittiva manchi del tutto e l’onnipotente Legislatore abbia di colpo mutato la natura delle cose. Poiché la pena prima della condanna è un oltraggio al comune senso della giustizia, la misura restrittiva non può essere giustificata come anticipo di pena; meglio dunque chiamarla cautela. La cosmesi linguistica edulcora la realtà e nasconde ciò che si preferisce ignorare; volgendo in “cautela” la carcerazione, mette in ombra la persona che subisce l’afflizione e i suoi diritti, mentre esalta la funzione “protettiva” esercitata della Magistratura. Si creano con ciò le premesse per sacrificare alla dea “giustizia” tutti gli interessi in gioco e il diritto della persona. La società deve essere protetta a tutti i costi dal pericolo di reiterazione del reato e poco importa dell’indole particolarmente opinabile di siffatto pericolo e degli altri fattori che compongono il quadro degli interessi in conflitto.

Il caso Toti può offrire parecchi elementi di riflessione. Sul punto ha espresso il suo autorevolissimo parere il giudice emerito della Corte costituzionale, Sabino Cassese. Ha evidenziato che l’esigenza di difesa sociale non ha valore assoluto; deve esser bilanciata col principio del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), declinato sia in chiave di procedure e modalità amministrative interne, sia in rapporto al mandato popolare. Sotto il primo profilo, viene in considerazione la continuità gestionale. La brusca interruzione del programma di governo determina disagi e ritardi, nella migliore delle ipotesi, ma anche rinvii sine die o paralisi totale delle attività, nei casi più gravi.

La macchina burocratica risulta inceppata in ogni caso, con grave pregiudizio per l’interesse dei cittadini a fruire delle utilità e dei servizi erogati dalla pubblica amministrazione. Per altro verso, la procedura democratica di insediamento dell’organo di vertice è parte integrante ed essenziale della corretta funzionalità della pubblica amministrazione. Ne deriva che la traumatica interruzione per via giudiziaria dell’esercizio del mandato incide sull’interesse costituzionalmente protetto al buon andamento della pubblica amministrazione, poiché entra in collisione con la volontà popolare alla base dell’investitura. Si protegge il popolo contro la volontà del popolo. È necessario pertanto, come suggerisce Cassese, un ponderato giudizio di bilanciamento di tutti gli interessi in gioco, nel raffronto tra la gravità del fatto ipotizzato (incerto) e il danno funzionale (certo) all’attività amministrativa.

Da ultimo si può osservare che, in base alle notizie giornalistiche, sembra sotto accusa una maniera di fare politica, più che un sistema corruttivo in senso stretto. Le colpe di Toti sembrano risiedere, da una parte, nel suo “decisionismo”, ossia nel disinvolto superamento delle strozzature burocratiche per realizzare le opere, dall’altro, nelle modalità di finanziamento delle spese elettorali. In verità il governatore esercita un mero potere di indirizzo, emanando direttive e indicando linee guida; non adotta gli atti concreti, esecutivi, da cui scaturiscono effetti esterni. Le “ruberie” insite nella corruzione non possono derivare dagli atti di indirizzo. Dobbiamo allora concludere che la presunta “corruzione” consiste in nient’altro che in una modalità di fare politica? Se così fosse, il famigerato pericolo di reiterazione del reato potrebbe essere evitato in una sola maniera: con la rinuncia dell’indagato all’esercizio dell’attività politica; e la “giustizia” si sostituirebbe alla politica.


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