Attualità

LIBERALMENTE CORRETTO – Il regresso verso la società tribale

di Michele Gelardi -


La proprietà privata è il pilastro della civiltà umana: la sua abolizione determina il regresso alla società tribale; ogni sua restrizione equivale a un passo nella direzione regressiva. Vediamo perché. La tribù ha la proprietà esclusiva dei beni che soddisfano i bisogni individuali; i suoi componenti non hanno il diritto di disporre e alienare e non possono acquistare da terzi a titolo personale. Questa condizione primitiva viene considerata da taluno come l’età dell’oro, nella quale prevalevano i sentimenti di solidarietà e la spontanea affectio societatis, sulle spinte disgregatrici esercitate dall’egoismo individuale. Questa visione romantica dell’Emile di Rousseau, non contaminato dalla civiltà moderna e pertanto immune dalla corruzione dei costumi, continua ad esercitare il suo fascino ancora oggi e si può considerare la base “idealsentimentale” di tutte le dottrine politiche socialcomuniste e affini. In verità la supposta età dell’oro non è altro che età della pietra e la qualità della vita in seno alla tribù, con occhio realistico, va considerata pessima. L’individuo tribale non ha alcun interesse ad ampliare il novero dei beni di consumo, per migliorare le sue condizioni di vita. Non può e non vuole coltivare la terra con metodi diversi da quelli conosciuti; non aspira ad alcun primato, perché dovrebbe diversificarsi rispetto agli altri consociati, ricevendone la disapprovazione e patendone l’invidia. Nella tribù tutti sono uguali e tali devono rimanere; non si può e non si deve eccellere. Ciò comporta almeno tre grandi inconvenienti. Primo: il modello sociale è destinato a perpetuarsi all’infinito, perché le spinte al cambiamento sono inibite in radice. Secondo: la norma, che uniforma i comportamenti individuali alla tipologia socialmente approvata, è particolarmente invasiva, perché riguarda tutti gli aspetti della vita, sottoposti al rigido controllo della comunità tribale. Terzo: l’uguaglianza degli individui comporta la diseguaglianza della regola. Nella tribù non esiste la norma generale e astratta, valida erga omnes, perché il comportamento individuale diviene strumentale al perseguimento della finalità sociale; ma l’incoercibile diversità degli individui comporta la necessaria diversificazione dei doveri di ciascuno. In sintesi, l’ordine tribale, finalizzato e organico, è ostile alla libertà individuale, in quanto ripetitivo e immutabile; autoritario; e fondato infine su regole diseguali, discriminatorie e selettive, necessarie per asservire l’individuo alla tribù. La somma di questi inconvenienti spiega perché, nei tempi moderni, possono sopravvivere solo piccole comunità pienamente organiche, fondate o su legami di sangue (piccole tribù indigene) o su vincoli religiosi particolarmente intensi (comunità monastiche, Amish, kibbutz). La società di milioni di individui, non legati da vincoli di sangue o di religione, deve essere fondata sulla proprietà privata, per liberare le immense risorse della persona umana. Il diritto di proprietà asseconda e difende la libertà, non solo del proprietario, ma di tutti i consociati. Se ne giova la società intera, sotto ognuno dei tre profili esaminati. Sotto il profilo della dinamica sociale, perché l’immobilismo tribale può essere superato, solo quando l’uomo, libero di contrattare, può godere dei frutti della sua iniziativa, accrescendo il novero dei beni in suo possesso. Sotto il profilo della protezione dall’autoritarismo, perché la disponibilità dei mezzi consente il perseguimento dei fini personali, cosicché la proprietà, delimitando la sfera dei mezzi disponibili, protegge dalla coazione dell’autorità politica che impone i suoi fini. Sotto il profilo dell’uguaglianza delle regole, perché l’autonomia contrattuale dei privati, connessa al diritto di proprietà, regola gli interessi in gioco su basi volontaristiche di reciprocità, in un quadro normativo di riferimento necessariamente generale e uguale per tutti, mentre la regolazione dell’autorità politica pretende di privilegiare determinati interessi. Ne deriva, che l’arretramento della proprietà privata coincide con l’abbandono della norma uguale per tutti, con la morte del diritto e la selezione coattiva degli interessi. In ultima analisi, il pericolo che si regredisca al gregge degli “uguali”, ordinati in tribù, non è affatto scongiurato.


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