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LIBERALMENTE CORRETTO – Il postulato del Liberalismo o è Dio o gli somiglia

di Michele Gelardi -


Il grande liberale Antonio Martino diceva che “il Padreterno è liberale” e il motto è stato ripreso da Nicola Porro, come titolo di un suo libro, per significare che la condizione naturale dell’uomo è la libertà, secondo il disegno divino. In quest’ordine d’idee, il “libero arbitrio” come corredo naturale della persona umana diviene la premessa logica e assiologica del liberalismo come dottrina politica. S’intende, tuttavia, che la libertà personale può essere ritenuta giusta e necessaria, nell’ordine della convivenza umana, senza la necessaria supposizione della sua origine divina.

E non poche versioni del liberalismo fondano la libertà personale su premesse ideali, indifferenti alla questione del teismo/ateismo. Senza contare che un certo anticlericalismo di fondo, vestito di laicismo, ha caratterizzato il movimento liberale, fin dai suoi albori; il che, soprattutto in Italia, ha ingenerato la contrapposizione storica liberalismo/cattolicesimo. A ben vedere, tuttavia, il pensiero liberale è antitetico rispetto al dominio temporale della Chiesa e alla teocrazia in generale; ben diversa è la questione del postulato ideale, rispetto al quale si possono ravvisare, al contrario, significative consonanze. Al fondo del pensiero liberale si può scorgere la supposizione che l’ordine spontaneo della convivenza, basato sulla libera interazione dei comportamenti individuali, sia superiore rispetto all’ordine pianificato, fondato sulle scelte vincolanti dell’autorità politica. Nella visione liberale, Il primo è superiore al secondo dal punto di vista assiologico, perché compiace il valore supremo della libertà; ma è superiore anche dal punto di vista dei risultati economici, per l’inevitabile inefficienza della pianificazione centralizzata. La spiegazione logica di questa superiorità è stata data dai giganti del pensiero liberale.

Nella “ricchezza delle nazioni”, Adam Smith osservò che la libera dinamica del mercato determina la migliore allocazione possibile delle risorse economiche, senza alcun intervento autoritativo; la spontanea divisione del lavoro e il perseguimento dell’interesse individuale, nel rispetto delle regole della pacifica convivenza, costituiscono la base del benessere sociale; nella “teoria dei sentimenti morali” osservò l’innata tendenza dell’uomo alla “simpatia”, intesa come condivisione dei sentimenti, da cui trae origine la spontanea norma di civiltà, a fondamento dell’ordine sociale. La sua dottrina sistematica può essere sintetizzata nella famosa formula della “mano invisibile”, che guida la dinamica sociale, a prescindere dalla “mano visibile” della politica.

A questa dottrina ha dato il suo apporto von Hayek, che ha teorizzato la superiorità dell’intelligenza dispersa, appartenente a ognuno dei componenti dell’indeterminato consesso sociale, rispetto all’intelligenza centralizzata, appartenete all’autorità politica; e, al contempo, ha spiegato come e perché l’ordine pianificato è necessariamente coercitivo e selettivo, essendo fondato sulle norme differenziate, funzionali al raggiungimento dei fini politici prefigurati dall’autorità. D’altro canto, Popper ha evidenziato l’impossibilità di cristallizzare il sapere umano a priori, come pretenderebbe il pianificatore politico, giacché la “confutazione” a posteriori è lo strumento della progressione scientifica; ne deriva che la risposta di mercato è superiore, anche dal punto di vista euristico, alla previsione del programmatore. Se dunque chiamiamo liberalismo la dottrina politica che accoglie e valorizza la superiorità dell’ordine spontaneo sull’ordine pianificato, nel dichiararci liberali, abbiamo due possibilità: o acquietarci di constatare siffatta superiorità; o chiederci il perché. Nel primo caso, le spiegazioni logiche dei grandi pensatori sono più che sufficienti, suffragate peraltro dai ripetuti fallimenti dei tentativi di ingegneria sociale pianificatrice, alla ricerca utopistica della “felicità” sociale. Ma se cerchiamo la ragione profonda della superiorità, non possiamo fare a meno di chiederci: a chi somiglia questo demiurgo dalla mano invisibile? La domanda ammette risposte multiple, fra le quali è plausibile quella di Martino.


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