Attualità

LIBERALMENTE CORRETTO – Il bilanciamento solidarietà-sussidiarietà

di Michele Gelardi -


La dottrina sociale della Chiesa enuncia due princìpi che devono guidare l’intervento dello Stato, in direzione del giusto ordinamento della convivenza umana: solidarietà e sussidiarietà. Il primo assegna allo Stato i compiti – ai quali non può attendere la libera iniziativa degli uomini, nella dinamica di mercato – a sostegno delle fasce più deboli. Il secondo recinge l’intervento della cosa pubblica all’interno delle aree nelle quali la libera iniziativa individuale e associata non potrebbe rivelarsi efficace e limita i compiti delle istituzioni più grandi (territorialmente e gerarchicamente) all’ambito, nel quale l’attività degli enti più piccoli e dei corpi intermedi si rivela inidonea. Dunque il primo principio legittima, il secondo limita l’intervento dello Stato. Entrambi devono coesistere, nella logica della dottrina sociale della Chiesa, come si evince dalle parole dell’enciclica Centesimus annus: lo Stato deve concorrere al benessere sociale “indirettamente e secondo il principio di sussidiarietà, creando le condizioni favorevoli al libero esercizio dell’attività economica, direttamente e secondo il principio di solidarietà, ponendo a difesa del più debole alcuni limiti all’autonomia delle parti”. Ovviamente non spetta alla Chiesa individuare il perimetro concreto delle competenze statuali: la declinazione dei principi generali, secondo le contingenze storiche, è ufficio proprio dei laici e delle forze politiche. Si possono comunque individuare alcuni criteri, o direttamente desumibili dalla dottrina, o desumibili per via storico-empirica. Il criterio dottrinale esplicito si può esprimere come negazione dell’assoluto e anche di qualsivoglia priorità ontologica. La solidarietà, quale criterio di legittimazione dell’intervento pubblico, non è un assoluto, per il fatto stesso di dover convivere con il principio antagonista della sussidiarietà. Inoltre se ne deve escludere la prevalenza aprioristica, poiché la sussidiarietà non avrebbe alcun senso, se non fungesse da limite all’intervento pubblico; e, ovviamente, non potrebbe fungere da limite, se dovesse sempre soccombere. Si può individuare anche un criterio dottrinale implicito, osservando che la solidarietà nei documenti ufficiali della Chiesa è descritta anche come virtù morale della persona, afferente alla caritas. Si capisce che la solidarietà affidata allo Stato sottrae spazio a quella esercitata dagli individui e dalle libere associazioni, cosicché la solidarietà, come principio di legittimazione dell’intervento pubblico, incontra il limite della solidarietà come virtù. Per via dottrinale implicita, si può cogliere un altro limite, considerando che lo Stato si esprime attraverso atti potestativi, pertanto la sua solidarietà interferisce inevitabilmente con l’esercizio delle libertà dei cives e tende a comprimere i diritti privati. Per via storico-empirica, si può osservare che la “difesa dei poveri” si è dimostrata, molto spesso, la via migliore per acquisire potere. Ciò dipende anche dal “vizio” intrinseco che appartiene alla solidarietà di Stato. Dalla sua funzione legittimante discende la tendenza espansiva, pressoché irrefrenabile. Il potere tende per sua natura ad espandersi e il canale di espansione si chiama “competenza”. Ovviamente l’acquisizione di nuove competenze comporta l’incremento del potere e l’ampliamento dell’apparato pubblico; e poiché nessuna nuova competenza sostituisce la vecchia, né un nuovo apparato sostituisce il vecchio, il nuovo si somma al vecchio sempre e comunque. In nome della “solidarietà”, l’apparato pubblico cresce a dismisura, sottraendo spazio all’iniziativa privata e linfa alla creatività. Dunque lo Stato onnipresente partorisce l’uomo deresponsabilizzato, verso il quale pretende di “solidarizzare”. In conclusione, assolutizzare il principio di solidarietà, ponendolo a fondamento di una presunta “terza via”, denominata “solidarismo”, tradisce il senso autentico della dottrina sociale della Chiesa, la quale legittima sì l’intervento solidaristico dello Stato, ma solo entro i limiti di compatibilità col principio di sussidiarietà, allo scopo di non soffocare la libera iniziativa delle persone e dell’associazionismo volontario, come osserva acutamente don Beniamino Di Martino, grande studioso della materia.


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