Ambiente

L’estate nera dei pescatori italiani: dopo l’Ue il granchio blu

di Angelo Vitale -


Italia isolata in Europa, sul pacchetto pesca. Nonostante il no del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, l’unico a fronte di 26 Paesi che hanno sostanzialmente detto sì, nel Consiglio agricoltura e pesca Ue del giugno scorso, alle misure che prevedono anche lo stop definitivo alla pesca a strascico a partire dal 2030. Con il presidente di turno, il ministro svedese Peter Kullgreen a permettersi anche una nota sarcastica: “Lasciatemi riassumere: il Consiglio ha adottato le conclusioni con il sostegno di tutti gli Stati membri, eccetto l’Italia”.

Un no ribadito dal ministro Lollobrigida, settimane fa, anche davanti alla marineria in protesta a San Benedetto del Tronto contro la chiusura dell’Europa. Che tale rimane, anche di fronte al via del fermo pesca dal 29 luglio dal Friuli Venezia Giulia al Veneto, dall’Emilia Romagna fino a parte delle Marche e della Puglia, da Trieste ad Ancona e da Bari a Manfredonia (ove si tornerà in mare il 9 settembre), mentre lungo l’Adriatico nel tratto centrale da San Benedetto e Termoli le attività si fermeranno dal 19 agosto al 24 settembre. E nel Tirreno il blocco scatterà da Brindisi a Reggio Calabria dal 4 settembre al 3 ottobre, dal primo al 30 ottobre da Genova, passando per Napoli fino a Gioia Tauro e nei porti della Sicilia e della Sardegna, mentre è già vigente da Civitavecchia a Fiumicino.

L’occasione per le associazioni di levare alto, per l’ennesima volta, il grido di denuncia per una situazione che, sostengono, non è servita nel corso dei suoi anni, nemmeno a ripopolare la fauna ittica ma solo a far calare numeri degli addetti e risultati economici: nei 38 anni di fermo pesca lo stato dei fondali marini italiani non è gran che migliorato, nonostante gli sforzi e le restrizioni messe in atto dalla flotta nazionale che ha registrato una contrazione perdendo circa il 33% delle unità da pesca e 18mila posti di lavoro

Un grave disagio di fronte al quale Lollobrigida ha ripetutamente tentato anche la carta di chiedere “studi e ricerche” all’Ue, affinché l’Italia potesse in qualche modo accollarsi il “costo” di una sostenibilità ambientale che l’Europa considera primaria rispetto a quella “economica” che il governo intende allo stesso tempo preservare: imprese e occupazione.

Ma il “nemico” della marineria nazionale non siede solo a Bruxelles o sulle poltrone degli Stati membri che hanno rifiutato ogni possibile intesa con Lollobrigida. E’ in acqua, si chiama granchio blu. Una specie aliena per i nostri mari, ma ormai presenza sempre più fissa, da quando comparve nel Mediterraneo alla metà del secolo scorso sulle coste africane, per essere oggi minaccia costante nell’Adriatico. Divora cozze e vongole ed è stato aiutato nella sua proliferazione anche dalla recente inondazione dell’Emilia Romagna, ove si coltiva il 40% delle vongole del nostro Paese. Tanto da spingere la Regione (anche il ministero negli impianti di molluschicoltura nella Sacca di Goro, ndr) ad autorizzarne la cattura e la commercializzazione, per limitarne i danni. Già finito nelle cucine e sulle tavole dei ristoranti della costa.

A rinnovare l’allarme la Coldiretti con il presidente Ettore Prandini che ha scritto una lettera – destinatario sempre Lollobrigida – chiedendo misure di sostegno. A rischio 3mila imprese familiari, dice Prandini. Una Flotta Italia – dati 2022 – ridottasi ad appena 12mila unità. Non sarà un caso che importiamo più pesce di quanto ne esportiamo: nel 2021, 3,7 miliardi
rispetto a 378 milioni di euro.


Torna alle notizie in home