L’errore da non fare
Tommaso Cerno
di TOMMASO CERNO
Non tifo per un criminale. Queste parole valgono per Vladimir Putin ma valgono anche per il capo della Wagner, Evghenij Prigozhin, un assassino mercenario. La guerra civile che sembrava cominciare a Mosca, prima che la mediazione di Lukashenko portasse al dietrofront della Brigata, almeno per ora, mostra certo i segni di debolezza di una Russia entrata in una guerra diventata planetaria contro Kiev.
Guerra che tutti noi stiamo pagando. Ma mentre l’Occidente assiste in silenzio, quasi un po’ spiazzato, cercando di capire come sia meglio sfruttare questa situazione se non imprevedibile certo imprevista fino a poco tempo fa, per giocare una mossa e portare la Nato verso una soluzione del conflitto ucraino in tempi più brevi di quanto si sperasse, ci dobbiamo ricordare bene che abbiamo a che fare non con una ma con due canaglie. E non sono le uniche in campo in questa guerra. Nel nome della occidentalità dell’Ucraina abbiamo trasformato Azov, un branco di nazisti, in eroi perché ci faceva comodo. E la tentazione sarà quella di trasformare anche la Wagner, una delle peggiori organizzazioni militari che operano tra Africa e Eurasia, in un taxi democratico celebrando questa specie di pentimento di Evghenij Prigozhin che altro non è invece che un ricatto mercenario a Mosca. Putin è più debole. Sulla sua sorte già si favoleggiava.
Per questo lo Zar l’ha definito invece un tradimento chiamando la storia protosovietica della città di Rostov sul Don che era stata la capitale dei generali controrivoluzionari, i “bianchi” che provarono a rovesciare il governo dei bolscevichi dopo il 1917, evocato da Putin parlando a una nazione che fatica pero a identificare lui in un nuovo Lenin, al punto che la citazione diventa un boomerang culturale se per la Russia il governo del Cremlino somiglierà di più alla parabola discendente dell’imperialismo zarista. Quello che invece noi occidentali democratici possiamo e dobbiamo usare è l’effetto psicologico che quanto sta avvenendo avrà sia sull’esercito russo, che in questo caos autogeneratosi fatica a capire chi sia davvero il vertice della catena di comando, fatica a comprendere se sia in corso un colpo di Stato che lo riguarda o una ribellione da fermare.
Allo stesso modo l’esercito ucraino vedrà nella crisi della capitale russa, mai espugnata da nessuno nella storia, una spinta emotiva a combattere per recuperare quelle posizioni che la controffensiva annunciata da Zelenskj qualche settimana fa non sembrava riuscire a portare a casa nei tempi e nei modi che si erano immaginati. Capiremo nelle prossime ore se quanto accade a Mosca ha un valore storico, possa davvero portare alla fine di un regime, oppure sia una parentesi dentro la storia di una brutta guerra del terzo millennio. Quello che non possiamo invece dimenticare è la fatica che l’Occidente sta facendo a convincere il proprio popolo che ciò che avviene fra Ucraina e Russia riguarda davvero la salvaguardia dei valori fondanti delle democrazie, la libertà, l’autodeterminazione.
Ecco che il comportamento dell’Europa in questa fase critica della crisi interna russa diventa fondamentale per ripristinare il clima di sostanziale e reale appoggio popolare alla resistenza ucraina delle prime settimane del conflitto. Non dobbiamo cioè dare l’impressione di entrare in una guerra dalla parte che ci fa comodo, ignorandone la natura profonda e sfruttandola come protesi della nostra forza militare. Ma dobbiamo invece spingere sulla linea della trattativa e porci come nella storia dovevamo essere dall’inizio interlocutori capaci di portare più vicine alla pace Kiev e Mosca, nell’interesse di una Russia che abbia al suo vertice un sistema politico che garantisca le libertà e la democrazia nel paese. Se faremo questo, magari ci metteremo un po’ più di tempo, ma avremo con noi il sostegno della gente. Se invece daremo l’impressione di sfruttare una feritoia nel muro della guerra, i dubbi sulla reale natura di questo conflitto e sulle sue implicazioni finanziarie e economiche e militari diventeranno più forti.
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