Editoriale

L’eroina uccide in una società che ci lascia soli

di Dino Giarrusso -


“Non è più nemmeno di moda!” urla un Sergio Rubini sconfortato, quando capisce che la sua partner Valeria Golino è ricascata nella trappola dell’eroina. Il film si chiama L’albero delle pere, di Francesca Archibugi, ed è del 1998. Sono passati 27 anni e l’eroina non era più di moda già allora. Perché per la generazione interpretata dai due bravi attori italiani, l’eroina fu non soltanto una tragedia devastante, ma una moda. “Uscivamo con un giubbotto jeans dalla cui tasca si vedeva sporgere fuori la siringa, era un metodo per rimorchiare”, raccontava il compianto cantante demenziale Roberto “Freak” Antoni. E come lui grandissimi artisti quali Andrea Pazienza (che l’eroina ci ha portato via) hanno raccontato non solo l’alienazione, la trappola mortale, il dolore e l’impotenza di ogni tossicodipendente, ma anche l’aspetto seduttivo e dolorosamente glamour che l’eroina ebbe soprattutto nei secondi anni ’70. In un bel libro di Peter D’Angelo e Fabio Valle, Il figlio peggiore edito da Fandango, viene ripercorso pure la voluta diffusione dell’eroina in quegli anni quale arma deterrente rispetto alle forze rivoluzionarie che conquistavano molti giovani, a sinistra e a destra. Sono tutti ricordi sbiaditi, storie forti e quasi sempre tragiche, ma risalenti a oltre quarant’anni fa. Eppure di eroina si muore ancora, si muore sempre, si muore -è giusto che il cronista lo dica- di nuovo. La terribile storia di Camilla Sanvoisin, trovata morta la mattina dal fidanzato che si era talmente stordito con la roba da crollare addormentato e non accorgersi dell’agonia di lei, fa suonare l’allarme, e dovrebbe terrorizzare tutti. L’eroina non è più una moda, grazie a Dio, ma è il mortifero rifugio di troppi ragazzi incapaci di trovare serenità e benessere nella vita di ogni giorno. Prima della 25enne Camilla, romana di ottima famiglia caduta nella trappola mortale insieme al fidanzato 35enne, anch’egli di famiglia benestante, è morta a Verona la piccolissima Nora, 15 anni, indifesa e finita in giri orribili e drammaticamente più grandi della sua età. Sono segnali evidenti di malessere, un malessere che cresce e che rapisce a diverse età, in tutta Italia, e racconta non tanto d’un ritorno della moda dello sballo, della droga vissuta da un’intera generazione quale illusorio veicolo buono per allargare la coscienza e vivere nuove esperienze, quanto invece di una disperata mancanza di senso nelle esperienze quotidiane. Le amicizie, lo sport, le parrocchie, le comitive di amici, le passioni artistiche o culturali (musica, cinema, letteratura) hanno troppo spesso lasciato il posto a una quotidianità fatta di esperienze mediate dallo schermo dello smartphone, ore vissute a scrollare contenuti la cui durata raramente supera i 30 secondi, microshottini d’adrenalina legati ad un like, ad una scoperta fatta online, ad un nuovo amico virtuale che magari non si incontrerà mai nella vita reale. L’eroina non è insomma tornata di moda, ma sta diventando (insieme all’alcol, diffusissimo anche nella pre adolescenza) un veicolo di evasione da una realtà avara di emozioni vere e vissuta da monadi che crescono in relazioni spessissimo fredde con altre monadi. Forse, se vogliamo costruire un futuro migliore per i nostri figli non dovremmo concentrarci tanto sulla repressione, quanto sull’organizzare una società più solidale, collettiva, aperta e non individualista fino all’estremo. Sperando che queste morti insegnino a tutti cosa può succedere a chi non sa trovare gioia vera nella vita di ogni giorno.


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