L’embargo fa schizzare il prezzo del petrolio
Il G7 invoca un aumento di produzione ma l’Opec nicchia
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L’embargo al petrolio russo in sede Eu, dopo un’estenuante ed ennesima discussione, determina per ora un inevitabile effetto di rialzo del prezzo, che potrebbe vivere nelle prossime 24 ore un’ulteriore impennata. Il Brent raggiunge i 124 dollari al barile nel mercato europeo, mentre in Italia, con le pompe che segnalano aumenti fortunatamente chiusi entro i 5 centesimi, mancano poco meno di 40 giorni al termine del beneficio del decreto taglia accise, che ha contribuito a frenare il rincaro del prezzo del carburante.
I ministri del G7 hanno chiesto a gran voce aumenti delle forniture all’Opec ma il cartello dei produttori di greggio, di cui fa parte anche la Russia, continua ad essere soggetto alla cautela dei Paesi membri che più potrebbero accelerare le estrazioni, come Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, i quali però non intendono contrastare apertamente Mosca. Già all’inizio del mese il segretario generale dell’Opec, Mohammed Barkindo, aveva espresso chiaramente la prudenza generalizzata all’interno dell’alleanza: “La capacità di riserva semplicemente non esiste”, aveva detto.
L’alleanza ha deciso di riunirsi tra 48 ore per fare il punto della situazione sugli obiettivi di produzione, per i quali l’attuale stima prevede un incremento di 432mila barili al giorno. Insomma, il pressing dei Paesi occidentali, alle prese con tassi di inflazione record che minacciano la crescita economica, rischia di infrangersi contro una posizione che nei fatti congela l’accordo del luglio scorso, quando furono allentati i tagli alla produzione record con incrementi di circa 400mila barili al mese.
Nell’aprile scorso, l’Opec ha prodotto 2,6 milioni di barili al giorno, al di sotto dei suoi obiettivi, con la Russia che rappresentava la metà del deficit. E con Putin che ha ordinato di aumentare in modo significativo le vendite di petrolio russo a Cina e India, essendosi accentuata la problematicità delle vendite agli acquirenti europei.
La riunione del 2 giugno, e le altre eventuali che potranno essere fissate, conducono comunque a uno scenario di trasformazione con il quale l’Opec dovrà fare i conti al termine dell’estate. A settembre, infatti, scadrà il patto di gestione del mercato petrolifero con la Russia e altri nove alleati, con l’eliminazione definitiva dei tagli alla produzione, immaginando di riportare gli obiettivi del gruppo ai livelli pre-pandemia.
Una certezza, emersa dalla discussione informale in corso, è il ruolo centrale che la Russia, in quanto terzo produttore mondiale di greggio, continuerà a svolgere. Mentre si stima che il mercato, pure in una fase di sostanziale equilibrio, continuerà ad avvertire le fibrillazioni causate dalla guerra e da altri fattori: “Le condizioni di mercato continuano a confortare la possibilità di ulteriori forniture – ha affermato Edward Bell, direttore senior di economia di mercato presso la banca Emirates NBD – ma ci aspettiamo che i prezzi alti e volatili persisteranno”.
Tra i fattori, non di poco rilievo, che l’Opec dovrà pesare, oltre alla risposta ad una domanda globale di petrolio a prezzi elevati, anche ulteriori varianti del Covid-19 e il reingresso sulla scena dell’accordo sul nucleare iraniano dal 2015, per il quale i colloqui continuano, anch’essi contrassegnati dall’incertezza.
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