Esteri

L’Egitto non rinuncia ai negoziati. Tel Aviv minaccia ritorsioni per Spagna, Norvegia e Irlanda

di Ernesto Ferrante -


I mediatori egiziani stanno sondando la disponibilità di “tutte le parti attive” a riavviare i colloqui indiretti tra Israele e Hamas per raggiungere un accordo sugli ostaggi. A riportarlo è il quotidiano arabo filo-Qatar al-Araby al-Jadeed, che cita una fonte egiziana vicina al Cairo. Anche il gabinetto di guerra israeliano ha dato il via libera ai negoziatori per continuare gli incontri volti a raggiungere un’intesa, nonostante la mancanza di progressi nelle ultime settimane e gli attriti tra lo Stato ebraico e l’Egitto.
Il Sinai resta “una linea rossa” per gli egiziani, che non permetteranno “mai a Israele di sfollare i palestinesi da Gaza”.
Migliaia di persone sono scese in piazza a Tel Aviv e a Gerusalemme per chiedere il rilascio degli ostaggi israeliani. Le proteste si sono riaccese di nuovo poche ore dopo la diffusione del video che mostra il rapimento di cinque soldatesse da parte dei miliziani del movimento islamico di resistenza durante l’attacco del 7 ottobre. I manifestanti hanno acceso un falò in strada, bloccando il traffico della capitale.
Il filmato in cui compaiono le militari “è stato manipolato e l’autenticità di ciò che contiene non può essere confermata”. In una dichiarazione rilanciata da Al Jazeera, Hamas ha sostenuto che “le donne soldato sono state trattate secondo l’etica della nostra resistenza e non è stato dimostrato alcun maltrattamento nei confronti dei soldati in questa unità”.
Secondo il gruppo, la clip rientra a pieno titolo nelle “narrazioni falsificate” israeliane, come pure le frasi ripetute dagli uomini agli ordini di Haniyeh e Deif: “Cani, vi schiacceremo tutti” e ancora “siete belle sioniste”.
A margine dei funerali del presidente iraniano Ebrahim Raisi, si è tenuta una riunione sulla situazione nell’enclave palestinese tra i vertici dei Pasdaran e i rappresentati delle organizzazioni arabe filo-iraniane. Stando ai media della Repubblica islamica, erano presenti il capo dei Pasdaran, Hossein Salami, il comandante della Forza Quds, Esmail Qaani, il numero uno dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, il vice segretario generale di Hezbollah, Naim Qassem, ed il portavoce degli Houthi, Yahya Sarea.
Il segretario alla Difesa americana Lloyd Austin ha discusso con il suo omologo israeliano Yoav Gallant del “modo migliore per sconfiggere Hamas a Rafah e minimizzare i danni ai civili” e “ridurre gli effetti delle operazioni militari a Gaza”, come riporta una nota del Pentagono. Nel corso della telefonata, Austin ha ribadito le “forti obiezioni Usa alla vergognosa richiesta del procuratore della Corte penale internazionale di arrestare i leader israeliani”.
Il leader dell’opposizione Yair Lapid ha esortato il primo ministro Benjamin Netanyahu ad accettare la Palestina come Stato, a determinate condizioni e dietro garanzie. Lapid, del partito centrista Yesh Atid, è uscito allo scoperto dopo che Norvegia, Irlanda e Spagna hanno annunciato che riconosceranno la Palestina come Stato a partire dal 28 maggio. Pesante l’accusa indirizzata al ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir di aver impedito a Netanyahu di adottare questa posizione.
Israele non sarà scoraggiato dalla decisione che la Corte di giustizia dell’Aja, su input del Sudafrica, potrebbe assumere su uno stop alla guerra a Gaza e all’operazione a Rafah. Lo ha detto ai media Avi Hyman, uno dei portavoce del governo israeliano. “Nessun potere sulla terra fermerà Israele dal proteggere i suoi cittadini e perseguire Hamas nella Striscia”.
Il ministero degli Esteri di Tel Aviv ha avvertito che i legami di Israele con Irlanda, Norvegia e Spagna subiranno “gravi conseguenze” dopo che i loro governi hanno deciso di riconoscere uno Stato palestinese a partire dalla prossima settimana. “Ci saranno ulteriori gravi conseguenze per le relazioni con i loro Paesi a seguito della decisione presa”, ha fatto sapere un alto funzionario del Ministero. Il funzionario ha parlato dopo aver incontrato gli inviati dei tre Paesi per “rimproverarli”.


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