Le ombre cinesi
L’immagine plastica della Cina che esce come vincitore rispetto agli Stati Uniti nell’ennesima prova di forza nell’Indo-Pacifico è il presidente brasiliano Lula che arriva a Pechino. Nel duello tra il presidente Usa Joe Biden e il suo omologo cinese Xi Jinping, fatto in queste ore a colpi di esercitazioni militari nella regione indo-pacifica, appare evidente che mentre la Casa Bianca si limita a provocare Pechino, il Dragone continua a costruire quel “nuovo ordine mondiale” che esclude gli Usa come potenza egemone. Lula va da Xi per rinsaldare l’alleanza commerciale e fare il punto a livello geopolitico negli scenari di quel multilateralismo in cui i Brics fanno affari a gonfie vele. Mentre quelli che prima si definivano Paesi non allineati – oggi quelli che semplicemente non stanno con l’Occidente perché non stanno con nessuno – fanno a gara per fare affari con la Cina (e la Russia), Usa e Nato spediscono sempre più navi nell’Indo-Pacifico per “contenere l’espansione cinese”. Ma come si dice, business is business: le esercitazioni militari passano, gli affari restano. E non saranno certo le nostre navi, schierate assieme a quelle degli altri alleati Nato a fermare la Cina. Perché non è una questione di deterrente militare, appunto.
La recente visita del presidente francese Emmanuel Macron e della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen a Pechino, apripista per la visita dei prossimi giorni del responsabile degli Affari esteri Ue Josep Borrell, punta a recuperare terreno perduto con Xi, dopo che la Ue si è troppo appiattita sulle posizioni anti-russe e anti-cinesi della Casa Bianca. Tuttavia al contempo le navi dei Paesi Ue – Italia compresa, con la portaerei Cavour la squadra di scorta – sono lì a tenere alta la tensione nell’Indo-Pacifico. Perché questo è l’ordine impartito dagli Usa.
le più grandi esercitazioni
Usa-Filippine di sempre
Intanto ieri le Filippine e gli Stati Uniti hanno dato il via alle loro più grandi esercitazioni militari congiunte nel Paese del sudest asiatico, mentre i due alleati di lunga data cercano di contrastare la crescente influenza della Cina nella regione. Circa 18mila soldati prenderanno parte alle esercitazioni, che includeranno il lancio di proiettili veri per la prima volta nel Mar Cinese Meridionale, che Pechino rivendica quasi interamente. Una delle esercitazioni prevede l’atterraggio di elicotteri militari su un’isola filippina al largo dell’estremità settentrionale dell’isola principale di Luzon, a circa 300 chilometri da Taiwan. Il lancio dell’annuale esercitazione denominata Balikatan, che in filippino significa “Fianco a fianco”, arriva dopo un’esercitazione militare di tre giorni conclusa lunedì da Pechino, che ha simulato attacchi mirati e un accerchiamento dell’isola di Taiwan. Pechino ha schierato la portaerei Shandong, fiore dall’occhiello della marina cinese, e il nuovo aereo da combattimento J-15. Le manovre militari hanno avuto tutta l’aria di prove generali di invasione di Taiwan. Il ministero della Difesa di Taipei ha comunicato di aver rilevato nove navi da guerra cinesi e 26 aerei intorno all’isola. In questo clima di estrema tensione, un cacciatorpediniere Usa ha effettuato una “missione di libertà di navigazione” nelle acque internazionali, proprio nel mezzo dell’esercitazione della marina cinese.
Ora nell’ambito delle esercitazioni congiunte Usa-Filippine si attiveranno navi da guerra e caccia statunitensi, così come verranno usati i missili di contraerea Patriot, i lanciarazzi Himars e i sistemi anticarro Javelin. Le grandi manovre andranno avanti fino al 26 aprile e vedranno la partecipazione di una dozzina di Paesi della regione.
Eppure nessuno vuole la guerra: non la vuole la Casa Bianca, non la vuole Pechino e soprattutto non la vuole Taiwan. Tuttavia, con l’escalation a colpi di esercitazioni militari, si rischia grosso. Basta un incidente di troppo. Anche perché più in generale lo scontro armato non è più un’opzione remota. La visita della presidente Tsai Ing-wen negli Usa e il suo incontro con il presidente della camera dei rappresentanti Kevin McCarthy è stata una provocazione inaccettabile per Pechino e non è rimasta impunita: il Dragoneha fatto tre giorni di esercitazioni a un passo dall’isola. Perché, come sottolinea il presidente Xi, Taiwan “è il cuore” della politica cinese. Il segretario del Partito comunista cinese ha sempre parlato chiaro in merito: qualsiasi velleità di indipendenza di Taipei costituisce per lui “un’umiliazione personale”.
Cruciali le presidenziali
a Taiwan di gennaio 2024
In ogni caso, non accadrà nulla fino alle prossime elezioni presidenziali a Taiwan, a gennaio 2024. La presidente in carica, del Partito democratico progressista (Dpp) storicamente favorevole all’indipendenza, non potrà ripresentarsi dopo aver completato il secondo mandato. La sfida pertanto sarà tra il suo vicepresidente Lai Tching-te, sempre del Dpp, e un candidato ancora da scegliere all’interno del principale partito d’opposizione, il Kuomintang, più favorevole a un riavvicinamento con Pechino. La Cina farà di tutto per favorire una vittoria del Kuomintang, ma se le previsioni saranno confermate e il Dpp vincerà nuovamente le elezioni la regione entrerà in una fase molto (più) pericolosa. E così il mondo intero.
le più grandi esercitazioni
Usa-Filippine di sempre
Intanto ieri le Filippine e gli Stati Uniti hanno dato il via alle loro più grandi esercitazioni militari congiunte nel Paese del sudest asiatico, mentre i due alleati di lunga data cercano di contrastare la crescente influenza della Cina nella regione. Circa 18mila soldati prenderanno parte alle esercitazioni, che includeranno il lancio di proiettili veri per la prima volta nel Mar Cinese Meridionale, che Pechino rivendica quasi interamente. Una delle esercitazioni prevede l’atterraggio di elicotteri militari su un’isola filippina al largo dell’estremità settentrionale dell’isola principale di Luzon, a circa 300 chilometri da Taiwan. Il lancio dell’annuale esercitazione denominata Balikatan, che in filippino significa “Fianco a fianco”, arriva dopo un’esercitazione militare di tre giorni conclusa lunedì da Pechino, che ha simulato attacchi mirati e un accerchiamento dell’isola di Taiwan. Pechino ha schierato la portaerei Shandong, fiore dall’occhiello della marina cinese, e il nuovo aereo da combattimento J-15. Le manovre militari hanno avuto tutta l’aria di prove generali di invasione di Taiwan. Il ministero della Difesa di Taipei ha comunicato di aver rilevato nove navi da guerra cinesi e 26 aerei intorno all’isola. In questo clima di estrema tensione, un cacciatorpediniere Usa ha effettuato una “missione di libertà di navigazione” nelle acque internazionali, proprio nel mezzo dell’esercitazione della marina cinese.
Ora nell’ambito delle esercitazioni congiunte Usa-Filippine si attiveranno navi da guerra e caccia statunitensi, così come verranno usati i missili di contraerea Patriot, i lanciarazzi Himars e i sistemi anticarro Javelin. Le grandi manovre andranno avanti fino al 26 aprile e vedranno la partecipazione di una dozzina di Paesi della regione.
Eppure nessuno vuole la guerra: non la vuole la Casa Bianca, non la vuole Pechino e soprattutto non la vuole Taiwan. Tuttavia, con l’escalation a colpi di esercitazioni militari, si rischia grosso. Basta un incidente di troppo. Anche perché più in generale lo scontro armato non è più un’opzione remota. La visita della presidente Tsai Ing-wen negli Usa e il suo incontro con il presidente della camera dei rappresentanti Kevin McCarthy è stata una provocazione inaccettabile per Pechino e non è rimasta impunita: il Dragoneha fatto tre giorni di esercitazioni a un passo dall’isola. Perché, come sottolinea il presidente Xi, Taiwan “è il cuore” della politica cinese. Il segretario del Partito comunista cinese ha sempre parlato chiaro in merito: qualsiasi velleità di indipendenza di Taipei costituisce per lui “un’umiliazione personale”.
Cruciali le presidenziali
a Taiwan di gennaio 2024
In ogni caso, non accadrà nulla fino alle prossime elezioni presidenziali a Taiwan, a gennaio 2024. La presidente in carica, del Partito democratico progressista (Dpp) storicamente favorevole all’indipendenza, non potrà ripresentarsi dopo aver completato il secondo mandato. La sfida pertanto sarà tra il suo vicepresidente Lai Tching-te, sempre del Dpp, e un candidato ancora da scegliere all’interno del principale partito d’opposizione, il Kuomintang, più favorevole a un riavvicinamento con Pechino. La Cina farà di tutto per favorire una vittoria del Kuomintang, ma se le previsioni saranno confermate e il Dpp vincerà nuovamente le elezioni la regione entrerà in una fase molto (più) pericolosa. E così il mondo intero.
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