Le grandi manovre di Matteo: fra Twiga e Chigi prove di accordo
MATTEO RENZI ITALIA VIVA
di EDOARDO SIRIGNANO
Mentre i suoi fedelissimi erano al Twiga, il capo di Arabia Viva, come scrive bene il nostro Filippo Tabacchi nella sua Hot Parade, tesse una fitta tela con Giorgia per avviare le pratiche per quanto concerne l’entrata al governo.
Le riforme e il flirt con la maggioranza
La strada ovviamente è una soltanto: dividere una sinistra già incerottata e aprire sulle grandi riforme su cui Meloni intende costruire una maggioranza, in grado di andare avanti anche senza i ricatti della Lega. Ecco perché il giglio fiorentino, nella sua ultima conferenza estiva, apre al presidenzialismo e dice invece no a quel salario minimo, difeso con le unghie e con i denti da Movimento 5 Stelle e Cgil. Firma, infatti, il ddl per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, pilastro su cui potrebbe nascere appunto l’accordo tra Fdi e quelli che qualcuno già chiama i Fratelli d’Italia Viva. La strategia è chiara anche ai non addetti ai lavori: chiudere l’operazione senza esitazioni. Renzi si candida a interlocutore per cambiare prima le istituzioni e poi il quadro politico, prima che gli rubi l’idea qualche altro furbetto. “A parole – spiega ai giornalisti presenti – ho il consenso di maggioranza e parte delle opposizioni, ma sono nove mesi che fanno melina. Al contrario, invece, noi consegniamo quanto promesso ai cittadini sul premierato. Vogliamo stare ad agosto a discuterne? Noi siamo pronti. È parte integrante del programma del Terzo Polo. Su questo ci siamo impegnati con i nostri elettori”. Un passo in avanti, però, che mette in imbarazzo il resto della minoranza in Parlamento, soprattutto chi, nelle ultime ore, cerca di trovare una convergenza con l’esecutivo per quanto concerne le misure assistenziali, senza ottenere particolari risultati.
Il no al salario minimo
Su questo punto, Matteo, probabilmente per la sua complessa operazione tesa ad accaparrarsi le simpatie della destra moderata, dice no a quanto proposto dai compagni progressisti capeggiati da Giuseppe Conte sul salario minimo. “Non condivido quella proposta – spiega ai giornalisti – perché è previsto un fondo pubblico, che vuol dire aumentare le tasse. Perché devo alzare le imposte a un operaio o un impiegato mentre si può risolvere il problema in altro modo? Al contrario sono pronto a firmare una proposta della Cisl che prevede la partecipazione agli utili dei lavoratori. È uno strumento molto potente contro le disuguaglianze”.
Il piano svelato
Una cosa è certa, l’ex premier, ogni giorno, è sempre più diverso da quello schieramento che in un tempo, ormai lontano, gli consentì l’accesso a Palazzo Chigi. Posizione, d’altronde, ormai impossibile da nascondere alla luce del sole, pur volendo il giglio ancora mantenere il velo. Secondo indiscrezioni di palazzo, Matteo, pur avendoli difesi davanti ai cronisti, gliene avrebbe detto di cotte e di crude ai fedelissimi paparazzati con la Santanché a brindare nel lido dei vip. Non può dire certamente come Calenda che si sarebbe trattata di “una cena inopportuna”, ma allo stesso tempo non avrebbe gradito che certe cose fossero fatte davanti agli obiettivi delle telecamere, soprattutto quando la maggior parte degli italiani crede che sia in corso la classica operazione estiva di palazzo per rafforzare la maggioranza. Renzi, al contrario, vuole apparire solo come il nuovo paladino del garantismo, proprio come il grande Cav, che negli ultimi giorni tenta di imitare per ereditarne il consenso. “Questo modo di fare inaugurato dai grillini – spiega in conferenza – non ci appartiene. Ciò non vuol dire che sosteniamo il ministro al Turismo, ma che non utilizziamo le vicende giudiziarie per attaccare il nemico di turno. Ciò si chiama garantismo. Dopodiché spetta a ciascuno di noi valutare la propria posizione in base alle opportunità”. Allo stesso modo traccia il cammino per il futuro, ovvero andare fino alle europee in solitaria, magari tenendo in piedi il patto con Calenda, sempre che il politico romano non lo scarichi prima e poi subito dopo entrare nella maggioranza guidata da Giorgia. Non a caso non dice nulla contro quei partiti che la sostengono, ma invece scaglia dardi verso la causa di quelli che ormai, solo a parole, sono suoi interlocutori. Bordate, ad esempio, vengono indirizzate verso quel Patrick, martire di buona parte della sinistra. “Zaki – sottolinea l’ex primo cittadino di Firenze – ha un debito di riconoscenza nei confronti di Meloni. Lo hanno aiutato molte persone, ma l’operazione con Al-Sisi l’ha chiusa la premier”.
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