L’ANALISI – Le Europee e la lista di scopo
di GIORGIO MERLO
Ma la lista di scopo è un progetto? È lodevole l’iniziativa intrapresa da Bonino sulla necessità/opportunità di dar vita alla cosiddetta “lista di scopo” in vista delle ormai prossime europee. Tutti ne conosciamo le ragioni politiche e, soprattutto, elettorali della proposta. Ma, al di là di questa iniziativa, è altrettanto indubbio che la “lista di scopo” non può ridursi ad essere una mera operazione elettoralistica. Perchè, altrimenti, il tutto sarebbe solo un escamotage per far eleggere qualche esponente al Parlamento Europeo e nulla più. Certo, e al riguardo, sarebbe abbastanza singolare che partiti e movimenti che si riconoscono nello stesso gruppo a livello europeo poi si dividono sul versante nazionale in diverse liste e in competizione tra di loro. Un fenomeno che appartiene ai misteri della politica. Ma quello che non può essere sottovalutato è un altro aspetto. E cioè, un progetto politico centrista, riformista, europeista e di governo non può essere appaltato da un lato alla Bonino – al di là della sua buona volontà – e nè, dall’altro, può essere legato solo ad un’ipotetica “lista di scopo”. Perchè un progetto del genere richiede alcuni ingredienti di fondo. A cominciare da una cultura politica comune dei vari attori che intendono partecipare al progetto. In secondo luogo vanno superati tutte le pregiudiziali e i pregiudizi che nel frattempo si frappongono. Inoltre, ed è questo il dato più rilevante, dev’essere un progetto di medio/lungo termine che parte dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo e che si estende a livello nazionale. Anche perchè, se così non fosse, saremmo di fronte ad un’operazione tattica e legata al principio della convenienza immediata. Com’è, del resto, nella prassi e nella storia radicale. Ma per poter far decollare un progetto politico che sia anche in grado di superare il traguardo dell’8 e 9 giugno, dev’essere chiaro anche il percorso politico che segue quella data. E quindi, e di conseguenza: lista di scopo per le elezioni europee; soggetto politico federato; individuazione di un “leader/federatore” che sia in grado di far convergere in un unico partito culture politiche, sensibilità sociali e gruppi e movimenti diversi ma tuttavia accomunati dalla medesima volontà politica; e infine, ’elaborazione di un progetto riformista, plurale e di governo che resta la vera scommessa per mettere in discussione un sempre più insopportabile bipolarismo che poi puntualmente sfocia, come l’esperienza concreta sta confermando, nella deriva degli “opposti estremismi”. Per queste semplici motivazioni la “lista di scopo” non è nient’altro che un tassello di un mosaico molto più complesso e articolato. Un mosaico che, però, si nutre di politica e non di risentimenti personali o di ostracismi politici. Un esempio concreto? Ce lo offre la dialettica all’interno del più grande partito della prima repubblica, la Democrazia Cristiana. Un partito dove i vari capi delle correnti – che, detto fra di noi, erano tutti leader e statisti – non si amavano granchè ma sapevano convergere attorno al medesimo obiettivo politico quando era individuato. Altri tempi? Certamente sì ma non per quanto riguarda il “metodo” da perseguire che nella politica era e resta sempre lo stesso. E cioè, nella vita politica e nei partiti si è credibili, e seri, quando sono i contenuti e il progetto complessivo a prevalere e non le singole e anche comprensibili pregiudiziali personali. Che, è sempre bene non dimenticarlo, appartengono sempre e solo alla dimensione adolescenziale della politica stessa.
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