Le donne si sentono ancora Lidia Poët?
di Marika Pantè
L’ultima serie televisiva italiana rilasciata da Netflix, il colosso dell’intrattenimento in streaming, si intitola “La legge di Lidia Poët”, ispirata all’omonimo personaggio storico che ha tracciato un segno profondo sul ruolo della donna nella società. Lidia Poët è stata infatti, la prima donna a entrare nell’Ordine degli avvocati in Italia, emergendo nel lontano 1883 in un contesto totalmente maschile e destando non poco scalpore agli occhi di chi aveva avuto modo di conoscerla, anche solo attraverso voci del corridoio torinese. Non particolarmente nota prima dell’uscita della serie, la Poët è divenuta una delle icone dell’emancipazione femminile, pur vivendo gran parte della sua vita nell’ombra del fratello Enrico, anche lui avvocato. Subito dopo l’ottenimento della professione di avvocatessa, infatti, Lidia fu costretta a subire la revoca di quel medesimo ruolo da parte del procuratore generale del Regno, il quale motivò tale scelta semplicemente dichiarando che “La donna non può esercitare l’avvocatura”; ma la legge taceva a riguardo, nulla le vietava di esercitare tale professione. L’unico grande e difficile ostacolo era la società, una società maschilista che dava per scontato la subordinazione della donna in tutti gli ambiti lavorativi. Continuando ad esercitare la carica forense al fianco del fratello, la Poët riuscirà ad ottenere nuovamente il titolo di avvocatessa solo nel 1920, all’età di 65 anni. Nonostante la serie Netflix sia alquanto romanzata, è stata in grado di attirare l’attenzione di un ingente numero di spettatori, soprattutto giovani donne in procinto di affacciarsi al mondo del lavoro o che stanno tentando di costruirsi un futuro. Ma è ancora così difficile per la donna oggi costruirsi un futuro? Al momento questa difficoltà sembra apparentemente inglobare tutti indistintamente e le problematiche legate alla sfera femminile sono diventate quasi un cliché che si perpetua nel tempo. Nel 1946 le donne ottennero il diritto al voto mentre oggi, nel 2023, per la prima volta, una donna si trova a capo del governo. E allora, potremmo chiederci, perché continuare questa lotta? Non è ancora finita? Di cos’altro hanno bisogno le donne?
Forse il problema è che la donna di oggi tenta continuamente di omologarsi all’universo maschile; si vuole raggiungere un egualitarismo utopistico, non comprendendo che non è possibile e nemmeno positiva un’omologazione totale. In alcuni ambiti e momenti, uomini e donne hanno esigenze e attitudini diverse. Siamo nell’era dell’esagerazione, dell’ostentazione, nella quale non si arriva mai davvero a un traguardo e, se ci si arriva, si fa in modo di continuare a lottare unicamente per mostrare al mondo lo stemma di difensore della libertà. Ma la misoginia esisteva e continua a esistere, anche se, per meglio dire, dovremmo parlare di sessismo, un fenomeno ambivalente che accresce un maschilismo spietato e dà vita a forme estremiste come il nazi-femminismo. E forse è proprio qui che si nasconde la vera misoginia, tra gli estremismi, le apparenze e la sottovalutazione di una realtà ancora presente. Forse, ancora oggi, un po’ tutte le donne sono Lidia Poët in una società in continua evoluzione ma che non è ancora pronta al cambiamento.
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