Economia

Non c’è lavoro per i giovani nel Paese che invecchia

di Giovanni Vasso -


Nel Paese che invecchia, i giovani non hanno grandi chance di trovarsi un lavoro che sia degno di questo nome. L’Italia, sempre più anziana, si rileva ancora una volta matrigna per i ragazzi, specialmente per i neodiplomati e i neolaureati. Sono i dati Eurostat a inchiodare il nostro Paese in fondo alla graduatoria europea. La ricerca fa riferimento a chi ha terminato, da uno fino a tre anni fa, gli studi con successo nella fascia d’età tra i 20 e i 34 anni. L’Italia è il Paese in cui il tasso di occupazione per i giovani è il più basso di tutti. Ed è pari a solo il 67,5% di coloro che hanno appena terminato un ciclo di studi conseguendo il fatidico e tanto sospirato “pezzo di carta”. Che, forse, davvero vale poco se i risultati sono questi. Varrà in Italia sicuramente meno di quanto vale in Grecia, dove risulta occupato il 72,3% dei giovani. Meglio di noi anche la Romania che garantisce un’occupazione al 74,8% dei ragazzi diplomati o laureati. I numeri italiani sono lontani anni luce da quelli dei partner europei. In particolare della Germania e dell’Olanda dove il tasso di occupazione per i ragazzi si attesta, rispettivamente, al 91,5% e al 93,2%. La graduatoria europea, però, è dominata da Malta dove lavora il 95,8% dei ragazzi neodiplomati o freschi di laurea. L’Italia, però, è distante anni luce persino dalla media dell’intera Unione europea dove si stima che i giovani impiegati dopo aver concluso un ciclo di studi siano l’83,5%. Il tema della disoccupazione giovanile, in Italia, è uno di quelli caldissimi. Su cui, oltre alle solite polemiche politiche e a qualche stucchevolissimo scontro generazione, si gioca il futuro del Paese. Se non si trova lavoro, andarsene di casa per metter su famiglia diventa impossibile. E in più si debbono sorbire anche la paternale di chi è più grande e magari non riesce a concepire il fatto che i ragazzi si siano stufati di precariato, lavoretti (magari a nero). Nell’attesa di una chiamata, a cui molti si sono rassegnati, senza lavoro i giovani non fanno figli e, pertanto, si alimenta il circuito vizioso del dramma della denatalità.

Una tragedia su cui, proprio in questi giorni, è tornato il presidente dell’Inps Gabriele Fava. Che, intervistato da La Stampa, non ha avuto remore, manco fosse un personaggio di Game of Thrones, a ricordare a tutti che l’inverno (demografico) sta arrivando. E che saranno dolori, per tutti. “Allargare la base contributiva è fondamentale per la sostenibilità del sistema. Nel 2050 i cittadini over 65 rappresenteranno fino al 35% della popolazione nazionale e questo determina la necessità di ripensare l’attuale sistema di welfare, previdenziale, assicurativo, sanitario”, ha spiegato Fava. Che ha aggiunto: “Crescerà il peso di questa fascia di popolazione sulla quota di individui in età lavorativa (15-64 anni). Occorre cogliere l’opportunità di riconsiderare questi cittadini non più come un costo, ma come una risorsa, sostenendo la cosiddetta silver economy”. Un’ipotesi di cui, Fava, aveva già parlato dal palco del Meeting di Rimini affermando che quelli che “amo definire diversamente giovani” dovranno contribuire al benessere del Paese. Confermando magari il proprio ruolo di “salvadanaio” delle famiglie e contribuendo a creare nuovi lavori e alimentare il giro d’affari di settori che possono solo crescere: dall’assistenza sanitaria fino ai servizi alla persona. “Scenari e previsioni sono ampiamente attenzionati e affrontati con un’articolata strategia. Proprio per questo l’ Inps – ha detto Fava a La Stampa – come ente attuatore delle misure di legge volte a favorire la stabilità e la sostenibilità del Sistema, assicura una rete di protezione per il Paese. In tal senso ricordiamo che il bilancio per l’anno 2023 restituisce la fotografia di un Istituto con i conti in ordine. Dobbiamo avere fiducia nella capacità del sistema Paese di saper affrontare le sfide di cambiamento, grazie anche a un avanzato sistema di welfare”.


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