Attualità

L’assassino con l’orsetto e la perizia psichiatrica

di Rita Cavallaro -


In Italia si sta consumando qualcosa di inedito, che potrebbe rivelarsi addirittura controproducente se la dialettica politica del patriarcato oscurasse il movente del delitto di Giulia Cecchettin. Perché il responsabile di quel femminicidio un nome ce l’ha, Filippo Turetta, e le motivazioni che l’hanno portato a massacrare a coltellate la sua ex fidanzata sono uno degli elementi fondativi dell’impianto accusatorio. Di quel castello a cui gli inquirenti lavorano giorno dopo giorno, avvalendosi di analisi scientifiche e testimonianze tese a provare la ricostruzione dell’accusa.

All’anatomia dell’assassino, dall’azione omicidiaria al movente, si arriva con approfondimenti investigativi quasi chirurgici, non certo con le parole, con lo spauracchio di una società patriarcale che avrebbe armato la mano del killer. Alla dialettica del patriarcato non ci stanno in primis Nicola ed Elisabetta Turetta, i genitori di Filippo. “Non siamo talebani. Non ho mai insegnato a mio figlio a maltrattare le donne. Ho il massimo rispetto di mia moglie e in casa abbiamo sempre condannato apertamente ogni tipo di violenza di genere.

Vederci descrivere ora come una famiglia patriarcale ci addolora molto”, ha detto il papà in un’intervista al Corriere, in cui descrive quel figlio come un ragazzo tranquillo, al quale “è scoppiata qualche vena in testa. Non c’è davvero una spiegazione. Io sono convinto che qualcosa nel suo cervello non abbia più funzionato”. E ancora: “Mi sembra impossibile. Ma poi dicono dello scotch, del coltello, non so cosa pensare… Forse voleva sequestrarla per non farle dare la tesi e poi la situazione è degenerata. Non so darmi una risposta”.

Parole che allontanano così l’ipotesi della premeditazione, alla quale gli inquirenti puntano per una condanna all’ergastolo, e percorrono una delle due strade della linea difensiva, ovvero l’omicidio preterintenzionale, con una prospettiva massima di 24 anni di galera che, tra sconti e diminuzioni di legge, potrebbe riaprire a Filippo le porte del carcere dopo un decennio. O peggio. Perché l’avvocato Emanuele Compagno ha confermato che chiederà la perizia psichiatrica, per valutare la capacità di intendere e di volere al momento dei fatti. Se giudicato incapace, Filippo potrebbe farla franca.

E ora i genitori tentano di salvare il figlio, fornendo nuovi elementi per gettare ombre sul fatto che quel ragazzo qualche patologia mentale la avesse. “In questi giorni mi hanno detto che dovevo preoccuparmi se quando andava a letto abbracciava l’orsacchiotto pensando a Giulia. Io davvero non ho dato peso a questa cosa. Avrei dovuto?”, si domanda Nicola.

Che queste risposte le aspetta dagli esperti che verranno chiamati ad analizzare i meandri della mente di quel “ragazzo d’oro” trasformatosi in un assassino senza che nessuno se ne accorgesse. Narcisista? Sociopatico? Forse semplicemente espressione del male che esiste da quando esiste l’uomo inteso non come maschio, ma come genere umano.

Cosa sia passato nel cervello di Filippo quando ha ammazzato Giulia sarà uno dei quesiti al quale un giudice chiederà a uno psichiatra di rispondere, per accertare non solo se fosse capace di intendere e di volere al momento dei fatti, ma addirittura se sia in grado di presenziare al suo processo. E allora è evidente quanto la complessità processuale sia lontana dalla riduttiva, seppur appassionante, dialettica politica del patriarcato.

Perché fra perizie psichiatriche e incidenti probatori questo sarà il processo che segnerà la svolta sui femminicidi, ma solo se lo Stato saprà restare impermeabile al tentativo di trasformare quell’aula di tribunale in un ring tra Meloni e Schlein sulla violenza sulle donne, contro la quale ieri è stata approvato il nuovo Codice rosso rafforzato. Che se Turetta fra dieci anni sarà libero non sarà una grande vittoria politica.

E allora tornino le responsabilità di un assassino, che al momento dell’arresto ha detto ai poliziotti tedeschi: “Ho ammazzato la mia fidanzata, ho vagato questi giorni perché cercavo di farla finita, ho pensato più volte di andarmi a schiantare contro un ostacolo e più volte mi sono buttato un coltello alla gola, ma non ho avuto il coraggio di farla finita”. In quel momento però Filippo non aveva l’avvocato e dunque le sue ammissioni sono inammissibili. Ora ce l’ha e si è chiuso nel silenzio, mostrandosi a tratti assente, quasi catatonico. 


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