Politica

L’ANALISI – L’affrettato ritorno del guerriero Ue

di Francesco Da Riva Grechi -


La Risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2024 sul proseguimento del sostegno finanziario e militare all’Ucraina da parte degli Stati membri dell’Ue è un atto politico dal significato dirompente per tutta l’Europa, a parte il caso dell’Ungheria che, verso Mosca, ha una politica contraria a quella di tutti gli altri. Il suo contenuto, premesso che l’obiettivo ultimo rimane quello di giungere a una pace giusta e duratura, alle condizioni dell’Ucraina, è caratterizzato dal paragrafo 8 della risoluzione, che, come si è già visto su questa testata, fin dal giorno della sua approvazione, “invita gli Stati membri a revocare immediatamente le restrizioni all’uso dei sistemi d’arma occidentali forniti all’Ucraina contro legittimi obiettivi militari sul territorio russo, in quanto ci ostacola la capacità dell’Ucraina di esercitare pienamente il suo diritto all’autodifesa ai sensi del diritto internazionale pubblico e la lascia esposta ad attacchi contro la sua popolazione e le sue infrastrutture”.

Il punto è che questa decisione autorizza l’uso delle nostre armi senza limiti in una guerra contro una potenza nucleare, da un lato, affermando correttamente (art. 7 della risoluzione del 19 settembre 2024) “che l’Ucraina, in quanto vittima di aggressione, ha un legittimo diritto all’autodifesa conformemente all’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite” ma, dall’altro lato, senza che si sia aspettata un’analoga dichiarazione da parte della Gran Bretagna, che non è più membro Ue, né da parte degli Stati Uniti, in attesa delle elezioni presidenziali del 5 novembre prossimo. Nessuno può contestare la legittimità formale della risoluzione, fondata sul diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, “nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale”, ovviamente nella consapevolezza che tali misure non ci saranno mai vista la presenza di Russia e Cina proprio nel Consiglio di Sicurezza. In mancanza di questo tipo di provvedimento, occorre attendere gli esiti dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che si sta tenendo a New York, con i G7 guidati dal Ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani. In attesa delle dichiarazioni finali, si può prevedere che Volodymyr Zelensky insisterà affinché anche Regno Unito e Stati Uniti eliminino le restrizioni all’uso dei missili da crociera e balistici a corto raggio, che sono già in dotazione agli F-16 consegnati all’Ucraina e alle basi di lancio. La risposta, soprattutto americana, non si può prevedere, quello che è certo è che un’autorizzazione a colpire le basi russe, in territorio russo, lontano dalla frontiera Ucraina, porterebbe il conflitto sul piano inclinato dell’irreversibile coinvolgimento occidentale.

La novità è che l’Ue, fin dal 19 settembre, ha scelto di giocare un ruolo militare, anziché di mediazione, e i paesi europei hanno tutto da perdere in uno scontro diretto con Putin, che sembrerebbe invece essere stato “cercato” con la risoluzione in parola. E siccome nessuno ha finora attaccato l’Unione Europea, la beffa sarebbe di un’art. 51 della Carta della Nazioni Unite, invocato da Putin per la propria autotutela contro un paese europeo o tutta l’Unione.


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