Giustizia

L’ANALISI – Il cavillo delle toghe rosse e il diritto Ue

di Francesco Da Riva Grechi -


In Italia ci sono 26 sezioni specializzate presso i Tribunali in materia di immigrazione e protezione internazionale e sono state istituite durante il Governo Gentiloni, nella XVII legislatura, con il d.l. 17 febbraio 2017, n. 13, (c.d. Minniti-Orlando). A Roma c’è la diciottesima sezione civile del Tribunale composta da 27 giudici altamente specializzati. Lo stesso decreto Minniti-Orlando prescrive che i centri di identificazione ed espulsione diventino centri di permanenza per i rimpatri. Il 6 novembre 2023 veniva sottoscritto a Roma il protocollo Italia-Albania (ratificato con la legge n. 14 del 21 febbraio 2024) con il quale quest’ultima riconosce all’Italia il diritto all’utilizzo – secondo i criteri stabiliti dal Protocollo – di determinate aree, concesse a titolo gratuito per la durata del Protocollo, destinate alla realizzazione di strutture per effettuare le procedure di frontiera o di rimpatrio dei migranti non aventi diritto all’ingresso e alla permanenza nel territorio italiano. Si tratta in pratica di gestire i trattenimenti dei migranti nei centri di permanenza per i rimpatri istituiti dal Governo Gentiloni ma sul territorio albanese, in strutture particolarmente accoglienti e appena costruite. La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, del 4 ottobre 2024 (causa C-406/22), che non interessava il protocollo, dichiarava non idonei per il rimpatrio tre Paesi perché non sicuri (Camerun, Colombia e Nigeria), in applicazione della direttiva 2013/32/UE. Questa direttiva è ormai abrogata e sostituita dal regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 maggio 2024, n. 2024/1348/UE, che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale dell’Unione, cancellando proprio i dubbi nei quali si sono pretestuosamente addentrati i giudici del Tribunale di Roma. Le procedure per risolvere questi dubbi sono di tre tipi: ricorso per Cassazione, rinvio alla Corte Costituzionale e rinvio alla Corte di Giustizia Europea, che è la via seguita dal Tribunale. Poiché le istituzioni dell’Unione Europea hanno già risolto questi dubbi abrogando la normativa scritta male, a parte che non era neanche attinente alle vicende che riguardano oggi il protocollo Italia-Albania, sorge spontaneo il sospetto che ci sia una questione sollevata per motivi politici. Fermo restando che si rimprovera al governo di aver speso troppo per questi migranti e che le strutture del centro di Gjader sembrano hotel a 5 stelle, non sembra corretto invocare la Costituzione per un cavillo rintracciato in una lacuna di una direttiva europea che è stata già abrogata e proprio perché non chiara su quel punto, anche se il regolamento che la sostituisce (n. 1348 del 14 maggio 2024) entrerà in vigore solo il 12 giugno 2026 (gli sbarchi sono un problema urgente solo in Italia). Si può prevedere che una volta che l’orientamento condiviso da parte degli Stati membri dell’Unione sia stato consacrato in un atto formale come un regolamento, la stessa Corte di Giustizia lo confermi e dichiari nulle le decisioni del Tribunale di Roma. Altrimenti, e questa sembra la strategia di questo Tribunale, si apre un conflitto gravissimo tra il Parlamento Europeo ed il Consiglio dell’Unione, autori del regolamento, da un lato, e la Corte di Giustizia Europea, dall’altro lato.
Molto grave!


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