L’analisi di Cazzola: “Salario minimo, raschiamo il fondo della secchia rapita”
GIULIANO CAZZOLA
di GIULIANO CAZZOLA
Mentre scrivo, ignoro come finirà la discussione in Commissione Lavoro sulla proposta di legge delle opposizioni (con l’eccezione di IV) sul salario minimo. Comunque vadano le votazioni, credo che si stia raschiando il fondo del barile dell’ipocrisia, della demagogia e dell’irresponsabilità (è una valutazione che riguarda anche la campagna di alcuni grandi quotidiani che si sono buttati sul tema come se fossero un foglio ciclostilato delle Br).
Le opposizioni hanno costruito questa nuova ‘’guerra della secchia rapita’’ al solo scopo di farsi bocciare la proposta ed accusare la maggioranza di indifferenza verso il lavoro povero; la maggioranza non ha lo spessore culturale per difendere la sua posizione (contenuta peraltro in una risoluzione approvata dalla Camera nel dicembre scorso); poi è stata presa in contropiede dagli eventi, dalla canea suscitata dai media e se la sta facendo sotto. Personalmente mi auguro che venga votato e approvato l’emendamento soppressivo per tre ordini di motivi: a) ho parecchie riserve sull’introduzione del salario minimo in Italia; b) sono contrario alla proposta di legge in discussione. Partiamo dal primo punto. A chi solleva l’argomento per cui su 27 paesi europei 21 prevedono un forma di smic, si può replicare capovolgendo il ragionamento, nel senso che nei 21 paesi citati non esistono contratti nazionali di categoria quale perno delle relazioni industriali, come avviene nei 6 (compresa l’Italia) che hanno un livello di copertura contrattuale che sfiora il 90%, e anche per questo motivo, non prevedono, nell’ordinamento, un salario minimo legale. Due deretani non stanno sulla stessa sedia: ne deriva oggettivamente che lo smic toglierebbe spazio ai ccnl e soprattutto rischierebbe di mettere in discussione una giurisprudenza consolidata la quale, pur in assenza di un’efficacia reale dei contratti collettivi, ha sempre identificato nei minimi tabellari concordati quel livello di salario proporzionato e sufficiente di cui all’art. 36 Cost. Se entrasse in campo una legge che definisce un salario minimo, non si capisce perché la giurisprudenza non dovrebbe prenderne atto anche in ottemperanza dell’art.36 Cost. c) l’introduzione di un salario minimo legale finirebbe per prefigurare una nuova scala mobile, inserita nella retribuzione nel suo complesso e dotata di una dinamica autonoma ed estranea al negoziato tra le parti.
Tutto ciò premesso ecco le mie critiche alla proposta del ‘’campo largo ‘’, che cerca di rifarsi dalla sonora sconfitta incassata in Molise: 1) I 9 euro, ancorchè lordi, (su questo punto vi è ancora ambiguità) sono un importo troppo elevato. Ma prima ancora di giudicare insensato aumentare per legge la retribuzione ad alcuni miliardi di lavoratori, vi è la fine delle parti sociali come autorità salariali. Il salario orario di 9 euro costituisce l’87% (copyright INAPP) del salario mediano (paradossalmente la stessa percentuale della scala mobile prima della sua abolizione). L’indicazione della Ue si ferma al 60%. E’ evidente che resterebbero spazi esigui per la contrattazione nazionale e che il negoziato per il salario verrebbe affidato alla contrattazione decentrata e di prossimità. Ciò potrebbe anche rappresentare un’innovazione se non fosse che tale pratica si esercita, data la struttura produttiva e dei servizi, solo in alcune decine di migliaia di aziende. 2) Si sono accorte le ‘’anime belle’’ che a pagare sarebbe Pantalone, tramite un Fondo inserito nella legge di bilancio che aiuti le imprese a sostenere l’onere (4-5 miliardi) dei nuovi salari?
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