“Il futuro di Forza Italia senza il suo fondatore? Lo vedo complicato perché il partito nasce programmaticamente per morire con Silvio Berlusconi. La dose di realismo del Cavaliere è che ha sempre pensato che Forza Italia nasceva e moriva con lui come fenomeno di partito di massa. Tanto che ogni volta che si declinava una possibile leadership interna la faceva fuori: da Casini a Follini; da Fini ad Alfano. Per questo dico che la sua idea di partito è che fosse un’esperienza irripetibile, unica, legata alla sua leadership, mostrando così un realismo politico non comune”. Paolo Feltrin, docente di Scienza dell’amministrazione e Analisi delle politiche pubbliche all’Università di Trieste, è pessimista sull’evoluzione degli Azzurri dopo la scomparsa del patriarca. Una leadership non si crea in laboratorio ed è “difficile immaginare Antonio Tajani che porta il partito ad esempio dal 5% a oltre il 30%, tanto per fare un esempio, come invece ha fatto Giorgia Meloni lo scorso autunno alle politiche”. Eppure lo spazio per il partito moderato che intercetta voti di qua e di là dal guado centrista ci sarebbe perché c’è una fetta importante di elettorato “che va da metà Pd a metà Fratelli d’Italia che ad ogni elezione è disposta a cambiare orientamento, e quindi voto, a seconda della proposta politica del leader di turno. Grossomodo vale il 25-30%”. Adesso che non c’è più il Cavaliere, anche se la sua stella si era ormai appannata dal 2013, come indicavano di volta in volta i risultati elettorati che vedevano gli azzurri discendere la china del consenso, per il prof. Feltrin se si trovasse un nuovo leader si potrebbero forse ricreare le condizioni per far rigermogliare il consenso ricreando quelle condizioni che per la prima volta nel 1994 avevano dato la vittoria al primo Berlusconi. Ma è più probabile che “Forza Italia rimanga un contenitore del 4-6% irrilevante ai fini decisionali, perché la vera stagione del berlusconismo è stata sopra il 30%, ma era tramontata da tempo”.
CENTRODESTRA
Il futuro del centrodestra e al suo interno il ruolo di Forza Italia tiene banco all’indomani della morte del grande seduttore del popolo di cui oggi si celebrano i funerali in duomo a Milano e sarà lutto nazionale. Per questo c’è chi sostiene che l’esistenza degli Azzurri è legata anche alle decisioni della famiglia, in particolare di Marina e Piersilvio Berlusconi, proprietaria del simbolo, per le garanzie per 100 milioni di euro da loro prestate. E il fondatore era creditore di quella somma. Ieri il comitato di presidenza di FI ha approvato il bilancio 2022. Per adesso non ci dovrebbero essere sorprese gestionali. “Nella storia di FI – osserva l’uomo dei conti degli Azzurri, Alfredo Messina, tesoriere del partito ed ex manager Fininvest, vicino all’ex premier prima che entrasse in politica – certamente ci sono stati alti e bassi, momenti di sofferenza. Ma nessuno pensa di chiudere questo progetto che il presidente ha iniziato nel 1994. In molti erano scettici su questa avventura politica, ma alla fine ha avuto ragione lui”. La mappa del partito, tuttavia, si presenta frastagliata perché se Antonio Tajani è il punto di riferimento per l’opinione pubblica, Berlusconi aveva in testa di ristrutturare di nuovo FI affidando un ruolo centrale alla compagna Marta Fascina, cui facevano riferimento due dei tre commissari (Alessandro Sorte e Tullio Ferrante, rispettivamente per il Nord e Sud Italia), mentre per il Centro si sarebbe puntato su Alessandro Battilocchio legato politicamente a Tajani. La morte del vecchio leader potrebbe far rimescolare le carte con il concreto rischio della diaspora per la minoranza rappresentata da Licia Ronzulli, Alessandro Cattaneo e Giorgio Mulè.
LE SPOGLIE E L’USURA
Secondo l’analisi di Paolo Feltrin è probabile che a prendersi le spoglie di una parte di Forza Italia che alle politiche ha ottenuto 2,7 milioni di voti saranno Giorgia Meloni e Matteo Salvini, così come una fetta sarà assorbita dalle componenti centriste che si richiamano a Renzi e Calenda. Il prossimo appuntamento che conta saranno le Europee della prossima primavera. “ L’usura delle leadership viene dall’agenda di governo – osserva il prof. Feltrin -. È accaduto a Berlusconi, a Renzi e Salvini, ed a Conte, perché quando ci si scontra con la materia dura del governo i nodi vengono al pettine. Meloni finora è stata abile nell’adeguare l’agenda elettorale ai compiti di governo, soprattutto in politica estera, dimostrando doti di duttilità superiori alle previsioni. Ma siamo ancora in una fase di luna di miele con l’opinione pubblica. Noto un po’ di affaticamento nel day by day governativo con le nomine e i provvedimenti. Per capire se sono gli iniziali segnali di usura dovremo attendere le prossime settimane”. Adeguare l’agenda elettorale a quella governativa è sempre stato il banco di prova che ha minato le leadership negli ultimi trent’anni. “Finora non c’è riuscito nessuno, né a destra né a sinistra – conclude Feltrin – ed è il segnale della complessità politica”.