La volpe con gli stivali
La volpe con gli stivali. Qualche giorno fa ero ospite all’Aria che tira da David Parenzo. Quando sui monitor è apparso Aboubakar Soumahoro. Difendeva Hamas. Pontificava a nome della sinistra. Ieri, con grande dispiacere personale per quella parte della storia politica che sta morendo sotto le sue contraddizioni e le sue ipocrisie, ho appreso che la moglie e la suocera dell’onorevole eletto nelle liste di Sinistra italiana alleate con il Partito Democratico sono state arrestate per l’uso disinvolto di milioni di euro pubblici stanziati alle loro cooperative per accogliere i migranti che il sindacalista, il gatto con gli stivali di fango diventato “volpe”, difendeva in televisione.
Quello che non ho sentito e che non sento è la presa di distanza netta dei vertici di ciò che resta della sinistra italiana da questo signore dalla sua famiglia. Così come non sento la presa di distanza dai terroristi di Hamas che intendono distruggere Israele e lo stato ebraico ma al tempo stesso anche ogni residuo sogno di uno Stato di Palestina laico e pacifico. La domanda che mi faccio è come sia possibile. Come siamo ridotti se si dà adito a una confusione su temi dirimenti la natura stessa dei democratici e dei progressisti. Come possiamo non chiedere per primi chiarezza su quanto è avvenuto in questi anni in Italia attorno al tema dell’integrazione e dell’immigrazione quando vediamo che rappresentanti nel Parlamento di battaglie ideali hanno a che fare con personaggi, come appunto la volpe con gli stivali, che hanno trasformato tutto questo in un business personale.
Come possiamo non porre la questione di una determinazione del popolo palestinese come via democratica al superamento della minaccia islamista e terroristica in atto, mentre assistiamo in Italia alla radicalizzazione di nuclei di immigrati che sono entrati in questi anni e sono stati spacciati per persone disperate in cerca di un lavoro e di una vita, che avrebbe portato anche l’Italia a un miglioramento e a un progresso, quando invece ci rendiamo conto che abbiamo completamente perso il controllo di queste politiche e che oggi in molti luoghi ci appare come un’enclave antidemocratica e del tutto avulsa da un processo di partecipazione alla vita democratica del Paese proprio la gente che dicevamo discriminata da chi poneva il tema della sicurezza e della propensione alla condivisione dei nostri valori, dove per valori non intendo certo il cristianesimo o l’etica personale, ma almeno le leggi della nostra Costituzione.
Eppure questa confusione non è casuale. C’è a sinistra un vuoto che si è generato in questi anni, figlio dell’idea che una classe dirigente che è andata al governo del Paese, e ha imboccato la strada della conservazione di sé, sia oggi l’unica ragione che tiene insieme un partito che avrebbe bisogno invece di ricominciare a ascoltare quella parte dell’Italia che è rimasta delusa dalla mutazione finanziaria e tecnocratica di quello che è stato il più grande Partito Popolare della storia contemporanea. La piazza dove le bandiere della laicità e del terrore possono anche solo idealmente sormontarsi alla piazza che a quella sinistra celebra il funerale.
Così come gli scandali che hanno colpito in questi anni il rapporto fra il mondo delle cooperative e l’accoglienza umanitaria finiscono per essere non più delle eccezioni ma dei sintomi di un malessere che ha le sue origini nel cuore del sistema politico progressista. Non perché qualcuno abbia rubato, ma perché la distanza tra l’idea e la prassi, fra il traguardo annunciato e l’obiettivo raggiunto si è fatta talmente vasta da lasciare non solo delle maglie, come è sempre stato nella storia dell’uomo, ma delle voragini che finiscono per portare in basso tutto e tutti.
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