Due sequestri record per 3,2 miliardi di euro complessivi ordinati dalla magistratura a fronte di crediti d’imposta fasulli. Uno dei quali, da 1,5 miliardi, eseguito nell’inchiesta ribattezzata dalla Procura della Repubblica di Asti, “Capisci Ammè”, la frase pronunciata dal commercialista campano Enrico Maria Giuffrida conversando con un collaboratore che gli chiede conto del fatto che un’impresa edile implicata nella grande truffa non abbia fatturato. Dunque, ciò che si temeva sul fronte legale col varo del superbonus, cioè i raggiri con i finti crediti fiscali, viene confermato dalle indagini della guardia di finanza da Nord a Sud. Nel biennio 2021-2022 i vantaggi fiscali edilizi voluti e mantenuti dalle maggioranze parlamentari guidate da Giuseppe Conte e Mario Draghi, se da un lato hanno agito da formidabile moltiplicatore economico spingendo al rialzo il nostro Pil, favorendo la crescita di quasi 10 punti, dall’altro per come sono stati congegnati sono stati un altrettanto formidabile strumento al servizio della criminalità dei colletti bianchi che ha banchettato con raggiri fiscali di importi come mai era stato registrato nel passato. C’è gente che si è arricchita in poco tempo ed ha trasferito i soldi all’estero. Due distinte inchieste delle Fiamme Gialle di Asti e Avellino hanno messo in luce una maxi truffa per complessivi 3,2 miliardi di euro di finti crediti fiscali, che sono stati sequestrati ieri con i decreti firmati dai gip dei due tribunali interessati. Le persone finite sotto inchieste sono 58 in tutto (37 ad Asti, di cui 10 colpite da misure cautelari, e due professionisti di Napoli e Schio sono finiti in carcere; 21 ad Avellino) e le società edili nel mirino delle Procure della Repubblica sono un centinaio.
ASTI
Ai vertice del gruppo criminale, scrive il gip piemontese, ci sono il commercialista casertano Enrico Maria Giuffrida, 55 anni, residente a Mondragone, con studio al Vomero a Napoli, e il consulente tributario vicentino di origine albanese Roberti Arapi, 36 anni, di Schio, quest’ultimo ritenuto dagli investigatori, coordinati dal procuratore Biagio Mazzeo, il braccio destro del collega campano. Il suo compito era di inserire i falsi crediti nei modelli tributari da trasmettere all’Agenzia delle Entrate. Arapi avrebbe messo in contatto gli impresari edili di origine albanese Eduard Sinani e Dashnor Lushnjari, entrambi residenti nell’Astigiano, con il professionista napoletano. Le persone arrestate sono accusate di associazione per delinquere finalizzata alla truffa contro gli Enti Pubblici, riciclaggio, emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. L’indagine è scattata la scorsa estate su segnalazione del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria di Roma della Finanza. Oltre 150 militari ieri mattina hanno fatto scattare 73 perquisizioni in 18 province di Campania, Emilia-Romagna, Lazio Lombardia, Puglia, Toscana, Trentino Alto Adige e Veneto. Ai domiciliari sono finiti anche i presunti prestanome Piero Fabbri, 56 anni e Giovanni Margilio, 55 anni, di Trento; i campani Ciro Ioviero, 61 anni, Vincenzo Polverino, 62 anni e Salvatore Brusco, 41 anni, infine il fiorentino Simone Tangocci, 52.
AVELLINO
Nell’altra inchiesta per la magistratura di Avellino la rete criminale che ha messo a segno la truffa da 1,7 miliardi era composta da 21 persone. Si avvaleva di prestanome tra cui senza fissa dimora, percettori di reddito di cittadinanza, persone decedute o con precedenti penali, che aveva creato decine di imprese fantasma per riscuotere crediti di imposta fittizi per «Ecobonus» e «Bonus Facciate». Le indagini sono state svolte dai finanzieri di Avellino e Napoli, e ieri gli inquirenti hanno eseguito perquisizioni nel Napoletano e Avellinese, oltre che a Salerno, Milano, Lodi, Torino, Pisa, Modena e Ferrara. L’ipotesi di reato anche in questo caso è di associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata ai danni dello Stato. “Non si può parlare di imprenditori edili – spiega ai cronisti il comandante provinciale della Guardia di Finanza di Avellino, Salvatore Minale – poiché le società che ottenevano i vantaggi fiscali esistevano soltanto sulla carta e in qualche caso da tempo non operavano più”,