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La tragedia del Vajont: 9 ottobre 1963 – 9 ottobre 2024

di Gianluca Pascutti -


La diga del Vajont è uno dei più tragici esempi di disastri ingegneristici nella storia italiana. Situata in Friuli-Venezia Giulia, al confine con il Veneto, fu costruita tra il 1957 e il 1960 con l’obiettivo di creare un bacino idroelettrico per alimentare le centrali della zona. La diga, alta 261,6 metri, era tra le più grandi del mondo al momento della sua costruzione e rappresentava un prodigio dell’ingegneria civile. Tuttavia, il progetto fu segnato da gravi errori di valutazione geologica. L’area attorno alla diga si trovava infatti in una zona soggetta a frane, una condizione ben nota già prima dell’inizio dei lavori. Nonostante ciò, le preoccupazioni geologiche furono sottovalutate o ignorate dai progettisti. In particolare, un enorme pezzo del monte Toc, situato a ridosso del bacino, presentava segni di instabilità e gli esperti locali avevano più volte avvertito del rischio di un’enorme frana. La tragedia avvenne la notte del 9 ottobre 1963, dopo giorni di piogge intense, circa 270 milioni di metri cubi di roccia si staccarono dal versante del monte Toc e precipitarono nel bacino. L’enorme massa causò l’espulsione violenta dell’acqua della diga formando un’onda alta oltre 200 metri. Acqua e fango con una velocità impressionante raggiunsero le valli sottostanti, colpendo principalmente il paese di Longarone e provocando la morte di oltre 1900 persone. Il disastro del Vajont non fu causato dal cedimento strutturale della diga, che rimase incredibilmente intatta. Il problema risiedeva nella mancata valutazione dell’instabilità della montagna circostante e nelle scelte imprudenti fatte durante le operazioni di riempimento del bacino. Nonostante gli avvertimenti di geologi e ingegneri, il livello dell’acqua fu alzato progressivamente, aggravando la pressione sulla montagna. La tragedia del Vajont è ancora oggi un simbolo del costo umano dell’incuria e della negligenza. Segnò profondamente la memoria collettiva italiana e suscitò un ampio dibattito su come le grandi opere pubbliche debbano essere progettate e monitorate, tenendo conto non solo delle potenzialità economiche, ma anche della sicurezza e dell’ambiente. In agosto dopo un processo di digitalizzazione dei documenti processuali, durato 17 anni (finalmente concluso) è stato deciso che i 5205 atti relativi alla tragedia del Vajont resteranno per sempre custoditi a Belluno, nell’archivio di Stato.


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